Rendite tassate come il lavoro? Anche peggio

D. Una mia cliente che ha perso il posto di lavoro in età avanzata e che non riesce a reinserirsi in alcuna maniera da alcuni anni riesce a sostenere le spese personali tramite i rendimenti degli investimenti, almeno finché dura. Mi fa però notare di non poter scalare alcunché dalle tasse e la vive come un’enorme ingiustizia. Credo purtroppo che non ci sia modo di rimediare.
P.C., Genova

R. Infatti non c’è modo di rimediare a quella che è davvero una grande penalizzazione nei confronti delle cosiddette rendite finanziarie, la cui aliquota ordinaria è aumentata dal 12,5% al 26%, passando per il 20%. Aumenti avvenuti per porre allo stesso livello la tassazione di lavoro e quella di capitale, ma soprattutto per incrementare gli introiti fiscali. Sotto il primo aspetto -sebbene il risparmio derivi da reddito già assoggettato a tassazione- si potrebbe anche concordare ma, oltre al fatto che l’aliquota non è in realtà uguale perché l’Irpef dei lavoratori autonomi e dipendenti è progressiva e non ad aliquota secca, occorre pure considerare che la tassazione separata, in dichiarazione dei redditi come anche in regime amministrato dall’intermediario, non consente di beneficiare delle deduzioni e detrazioni di cui i lavoratori possono invece fruire, come quelle per carichi familiari, spese mediche, interessi sui mutui prima casa, ristrutturazione edilizia, risparmio previdenziale, ecc. La cliente del lettore ha quindi tutte le ragioni per lamentarsi, ancora di più nella situazione in cui versa. La situazione venutasi a creare aggrava le già presenti ingiustizie fiscali che colpiscono i risparmiatori, a partire dalla distinzione tra redditi di capitale e redditi diversi che non sono tra di loro compensabili e che porta spesso a pagare tasse anche quando si è in perdita. Vi è poi il discorso che il credito di imposta per le minusvalenze è valido solo fino alla fine del quarto anno successivo mentre le plusvalenze sono da pagare mese per mese e anche se nello stesso mese si registrano minusvalenze, se queste ultime sono temporalmente successive. Si prosegue con l’imposta di bollo progressiva e, un vero assurdo questo, da pagare anche se i titoli posseduti sono in default. Infine vi è la “Tobin Tax” italiana, che si è rivelata un enorme flop anche dal punto di vista degli introiti ipotizzati, di gran lunga superiori a quelli effettivi. Sempre più urge intervenire sui tanti aspetti che non sono giusti, quindi. Ma pare proprio ciò non sia davvero nell’agenda di alcuna parte politica, dato che tutte hanno contribuito allo status quo, in un modo o nell’altro.

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