Pensione, tutti i modi per integrarla

Come scrive Il Corriere Economia, la pensione è ormai una questione spinosa e raggiungerla è diventato un po’ più complicato, ma è possibile avere una pensione integrativa adeguata con un sacrificio economico accettabile.

Qualche esempio?  Un lavoratore trentenne che aderisce da subito alla previdenza complementare con un versamento di 100 euro al mese, potrà ottenere al pensionamento (fissato a 71 anni) una pensione integrativa di 951 netti al mese se sceglierà una linea d’investimento bilanciata-azionaria; se invece aderirà un anno dopo sottoscrivendo una linea che garantisce la restituzione dei contributi versati e non potrà contare sul Tfr e sul contributo aziendale (come nel caso dei lavoratori autonomi e dei liberi professionisti), l’apporto della previdenza complementare sarà minimo: i 100 euro al mese versati dal trentenne per 41 anni varranno una pensione integrativa di appena 205 euro netti al mese, quasi 750 euro in meno.

In questo quadro, prendere in considerazione tempo, mercati, Tfr, contributo aziendale e benefici fiscali è essenziale. Per quanto riguarda il tempo, prima si comincia a versare e meglio è. Altra cosa molto importante è scegliere una linea di investimento adeguata all’orizzonte temporale. Come simulato da Progetica, società indipendente di consulenza in pianificazione finanziaria e previdenziale, per L’Economia, per avere una rendita vitalizia di 100 euro al mese un trentenne con davanti a sé 41 anni alla pensione dovrebbe versare 30 euro al mese, un quarantenne con davanti a sé 30 anni alla pensione dovrebbe versare 51 euro al mese e un cinquantenne con davanti a sé 19 anni alla pensione dovrebbe versare 96 euro al mese.

È poi importante valutare i mercati. In questo caso, la scelta della linea di investimento deve essere adeguata all’età e all’orizzonte temporale e deve essere rivista nel corso degli anni, man mano che ci si avvicina al pensionamento. Ci sono poi le agevolazioni fiscali. Ad esempio, per un trentenne che ha un reddito netto di mille euro al mese e versa un contributo di mille euro l’anno, il beneficio in termini di minori imposte è di 270 euro: moltiplicato per i 41 anni di versamenti sino al pensionamento (ipotizzato a 71), lo sconto è pari a 11.746 euro. La prestazione finale sarà tassata a titolo definitivo con un’aliquota molto bassa: 9%. Per un quarantenne con una retribuzione netta di 1.500 euro, il beneficio fiscale è anch’esso di 270 euro l’anno e 10.945 per l’intero programma previdenziale, mentre la rendita sarà tassata al 10,5%. Per un cinquantenne che ha una retribuzione attuale di 2.000 euro netti il mese e ne versa 1.000 sempre all’anno, per altri 19, il beneficio fiscale è di 380 euro l’anno e 7.220 complessivi, mentre la prestazione finale sarà tassata con un’aliquota del 13,8%.

I lavoratori dipendenti possono poi investire in liquidazione. II Tfr è pari al 6,91% della retribuzione lorda, conferirlo alla previdenza complementare anziché mantenerlo in azienda permette di contribuire senza doversi privare nell’immediato di risorse. Un trentenne con un reddito netto attuale di 1.000 euro il mese che destina il Tfr a un fondo pensione può attendersi al pensionamento (ipotizzato a 71 anni) una rendita integrativa di 375 euro al mese se si iscrive a una linea che garantisce la restituzione dei contributi versati e di 571 se opta invece per una bilanciata-azionaria con il 70% di azioni. Un quarantenne che destina a un fondo pensione il Tfr relativo a un reddito netto attuale di 1.500 euro il mese, può attendersi al pensionamento, a 70 anni, una rendita integrativa di 339 euro con il comparto garantito e di 468 con il bilanciato-azionario. Per un cinquantenne con un reddito netto di 2.000 euro il mese, infine, rinunciare al Tfr può consentire di ottenere al pensionamento (a 69 anni) una rendita integrativa di 241 euro al mese se l’aderente opta per una linea garantita e 301 se sceglie invece una bilanciata.

C’è poi il contributo aziendale, che spetta solo a chi aderisce alla previdenza integrativa. Bisogna, però, ricordare che ha diritto al contributo aziendale solo il lavoratore che si iscrive al fondo pensione aziendale o di categoria, oppure a quello aperto (promosso cioè da compagnie d’assicurazione, banche, sim e sgr) su base collettiva, cioè in seguito a un accordo fra azienda e dipendenti.

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