Car pooling, niente profitti nel dare un passaggio in auto

Al corposo settore in rapida crescita della sharing economy servono delle regole. Lo aveva sottolineato il 15 giugno il Parlamento europeo, spiegando in una risoluzione non legislativa che andava sostenuta l’economia collaborativa, garantendo la concorrenza leale, oltre al rispetto dei diritti dei lavoratori e degli obblighi fiscali.

In Italia, dopo i decreti su affitti e sharing economy act, con l’ultimo Ddl si è cercato di dare delle regole anche al car pooling, cioè l’utilizzo condiviso di automobili private tra un gruppo di persone, con il fine principale di ridurre i costi di spostamento. La piattaforma mette in contatto passeggeri e guidatori, che mettono a disposizione la propria auto, per tratte urbane o interurbane. Tra i principali operatori BlaBlacar, Moovit, ClusSharing, Zego.

I proventi vengono considerati redditi diversi, per attività commerciali non esercitate abitualmente. Tuttavia, considerato che dall’attività svolta tramite queste piattaforme non è possibile trarre profitto, le somme ricevute dal guidatore dovrebbero costituire un mero rimborso dei costi fissi e proporzionali del viaggio. L’Iva è esclusa, perché il requisito dell’abitualità è difficilmente configurabile.

Come per il car sharing tra privati, se i redditi vengono qualificati come diversi, si possono dedurre solo le spese specificamente inerenti. Ma visto che l’attività si svolge con mezzi a uso promiscuo, l’operazione di scomputo non è semplice. E non si possono dedurre mai le spese generali, come il bollo auto, per esempio.

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