Clonazione assegni, è sufficiente una foto per finire nei guai

Contenuto tratto da www.bluerating.com

Domanda. Un mio cliente si è visto addebitare in conto un assegno per 5.000 euro. E’ accaduto che, rispondendo a un annuncio di vendita di una moto, durante le trattative abbia inviato al venditore una fotografia dell’assegno compilato come garanzia dell’effettivo interessamento all’acquisto. Il truffatore ha pertanto potuto clonare l’assegno incassando un falso titolo riportante i veri dati ma con una firma del cliente chiaramente falsificata. La banca non doveva accorgersi della firma falsa?
M.G., Milano

Risposta. Si tratta di una frode che sta prendendo piede e che miete numerose vittime inconsapevoli del fatto che sono sufficienti i dati di un assegno per poterlo clonare. L’importo di 5.000 euro non è casuale, trattandosi del limite oltre cui non si negoziano gli assegni in “check truncation”, ossia senza che il titolo venga materialmente presentato alla banca transata. Una procedura consente alle banche una notevole velocità del sistema di compensazione assieme a un forte taglio dei costi, ma si tratta di un accordo interbancario che non intacca i doveri di professionalità e di diligenza che devono portare ad adottare ogni opportuna cautela volta a ridurre i rischi e la conseguente responsabilità patrimoniale degli istituti.

Se ci fosse stata la materiale trasmissione del titolo la banca si sarebbe accorta della firma palesemente falsa, ma i rischi derivanti dalla sua scelta di non verificare immediatamente gli assegni di importo fino 5.000 euro non devono ricadere sul correntista.

Fin qui tutto è favorevole al cliente. Con una linea di parere condivisibile fino a un certo punto, però, in casi del genere l’Arbitro Bancario Finanziario considera corresponsabile il cliente per aver inviato i dati dell’assegno una terza persona in assenza di necessarie verifiche e di ogni controllo. Di conseguenza, i Collegi prevedono un risarcimento dimezzato in via equitativa in virtù di un concorso di colpa che fa ricadere il caso nella fattispecie dell’articolo articolo 1227, comma 1 del codice civile. Dicevamo di linea condivisibile fino ad un certo punto, perché nonostante si stia diffondendo non si tratta di una truffa ormai nota al vasto pubblico come per esempio nel caso del phishing. Per un risarcimento integrale occorre pertanto una causa vera e propria, confidando sul fatto che i giudici la pensino diversamente.

 

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