Monete complementari per avere liquidità: il precedente storico dei miniassegni

Microimprese italiane, allarme liquidità

Mentre a Roma si discute, l’Italia verrà espugnata? La necessità di liquidità per evitare il fallimento per totale mancanza di ricavi di micro e piccole imprese e attività economiche in Italia porta il governo a varare misure di sostegno che però tardano a tradursi in flussi reddituali. Nel frattempo negozi e attività non essenziali restano chiuse per esigenze sanitaria. E’ possibile fare qualcosa prima che sia troppo tardi?

Il precedente storico dei miniassegni

Proprio in Italia vi fu un precedente storico a cui alcuni suggeriscono di guardare con attenzione, quello dei miniassegni. Nel dicembre 1975 per ovviare alla cronica carenza di moneta metallica, l’Istituto Bancario San Paolo di Torino (destinato in seguito a rilevare l’Imi – Istituto Mobiliare Italiano e il Banco di Napoli, per poi fondersi con Banca Intesa, a sua volta risultato della fusione tra il Banco Ambrosiano Veneto e Cariplo, e dar vita all’attuale Intesa Sanpaolo), su pressione dell’Associazione Commercianti, emise i primi “miniassegni” da 100 lire (circa 5 centesimi di euro), veri e propri assegni circolari di dimensioni e valori ridotti.

200 miliardi di lire emessi in tre anni

Seguirono emissioni da parte una trentina di altri istituti, ma anche altri soggetti privati (come La Rinascente, le autostrade venete, la Star, o il consorzio agricolo di Ferrara) per tagli da 50, 100, 150, 200, 250, 300 e anche 350 lire (da 2,5 a 17,5 centesimi di euro circa). Nel loro complesso si stima che circolarono miniassegni per un controvalore totale di 200 miliardi di lire (una decina di milioni di euro), per circa due anni, finché nel 1978 l’Istituto Poligrafico Zecca di Stato fu in grado di tornare a produrre un quantitativo sufficiente di moneta metallica.

Oggi monete complementari sarebbero digitali

Se tornare a stampare miniassegni appare oggi anacronistico, emissioni digitali di moneta complementare sono invece possibili e da alcuni auspicate, ad esempio da Massimo Amato e Luca Fantacci, docenti dell’Università Bocconi che in un e-book (“Moneta complementare, sai cos’è?”) pubblicato da Bruno Mondadori spiegano che curare “un male, la crisi di liquidità” con “lo stesso male, ossia iniezioni di liquidità” (da parte delle maggiori banche centrali mondiali, ndr) non fa altro che “indurre gli operatori di sistema a rinviare” ogni “decisione di spesa e di finanziamento”, peggiorando la crisi.

Caratteristiche necessarie per essere utili

“Se la radice del male economico rappresentato dalla crisi è la moneta stessa quale noi la conosciamo, allora è bene chiedersi se non si possa concepire un’altra moneta”, una moneta complementare che sia “migliore” di quella ufficiale con precise caratteristiche: un ambito di circolazione definito, uno scopo, una modalità di emissione, un’unità di conto, la convertibilità e l’accumulabilità. Caratteristiche che a giudizio dei docenti della Bocconi hanno già alcuni circuiti di monete complementari come il Sardex in Italia o il Wir in Svizzera.

Non sarebbero la panacea di tutti i mali

“Non si tratta della panacea di tutti i mali”, avvertono Amato e Fantacci, ma almeno “dell’inizio di una ricostruzione dell’economia, in vista di un rapporto più degno fra denaro e lavoro”. L’utilizzo di monete complementari, flessibili, “per un lavoro degno è la migliore risposta alla (sempre più inutile) richiesta di una (infinita?) flessibilità del lavoro in nome della difesa, tanto dogmatica quanto autodistruttiva, della rendita”. Coglieremo in Italia l’occasione per sviluppare questi strumenti o resteremo ancora una volta a discutere?

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