L’Italia fa gola ai fondi

Petrolio in picchiata, euro debole e un nuova immagine del Belpaese presso l’opinione pubblica internazionale, e quindi degli investitori stranieri. Sono i tre fattori in grado di guidare la crescita del private equity in Italia nel corso del 2016 come precisa Andrea Accornero, socio responsabile del dipartimento corporate dello studio legale Simmons & Simmons.
“La percezione all’estero è in netto miglioramento: l’Italia viene vista come un paese in grado di fare riforme importanti tra cui in primis il Jobs Act e di avere una leadership politica stabile. Come Paese importatore di energia ed esportatore di prodotti finiti, inoltre, il fatto di poter contare su un prezzo del petrolio basso ci mette in una posizione vantaggiosa mentre l’euro debole ci permette di esportare più di prima”.
Il nostro Paese, dunque, è tornato nei radar degli investitori stranieri. Se si guarda ai numeri, il trend è positivo sia per la raccolta da parte dei fondi, sia per il numero di operazioni siglate nel 2015. “Si tratta di un momento molto positivo anche in termini di raccolta sia perché il numero degli attori sulla scena italiana è inferiore rispetto a quello del 2008, sia perché i pochi rimasti si sono ritrovati a dover fronteggiare una minore concorrenza. Si tratta in ogni caso di fondi dalle dimensioni molto contenute se paragonate con quelle dei fondi degli altri mercati. Se si esclude Clessidra, i fondi italiani di private equity in media raccolgono circa 250 milioni di euro. Ma non dimentichiamo che per alcuni fondi non si tratta affatto di un handicap, anzi: per alcuni tale dimensione è funzionale alla mission che si sono dati e rappresenta una precisa scelta di campo”.
I fattori ritenuti positivi per il sistema Paese in quanto tale stanno generando ricadute positive anche sul grado di appetibilità delle nostre imprese. In particolare, il mercato sta premiando le aziende in particolare che hanno una forte incidenza dell’export sul fatturato anche in considerazione della spinta alle vendite impressa da un euro debole. Nonostante sia questa la tendenza, precisa Accornero, ancora una volta il private equity dimostra come non sia possibile generalizzare: la più importante operazione avvenuta nel 2015 è stata il passaggio dell’Istituto Centrale delle Banche Popolari, titolare del marchio CartaSi, alla cordata di private equity composta dai fondi Advent, Bain e Clessidra, cui è andato il 92% del capitale. “In pratica, l’interesse si è concentrato su un soggetto che aveva interessi esclusivamente domestici”.
Ma non solo in questo momento vi sarebbe un grande interesse nei confronti delle imprese italiane, ma quello che da sempre è stato additato come un handicap si starebbe rivelando un fattore vincente: “Il fatto di essere realtà sottodimensionate rispetto ai competitor di altri paesi fa sì che alcune Pmi vengano selezionate per essere utilizzare come base per poi comprarne altre. Si tratta di fatto di un’opportunità per i fondi di private equity” .
Ad attrarre tuttavia non sono più solo le imprese dei tre settori per antonomasia rappresentativi del made in Italy, ovvero “Food, Fashion & Furniture” ma anche altri.
“L’Italia eccelle per la produzione di beni che è possibile definire Business to Business ovvero non destinati al consumatore finale bensì ad altre imprese. E’ il caso ad esempio del settore della meccanica di precisione. Sia i fondi ,sia gli investitori industriali stanno tenendo d’occhio queste imprese con modalità diverse: i primi per cercare di comprarne una per poi accorparne altre, in modo verticale oppure orizzontale; i secondi invece per espandere il loro mercato e creare dei gruppi”.
Il momento sembra essere propizio sia per vendere sia per acquistare: “Dato che rispetto a qualche anno fa i multipli si stanno alzando potrebbe diventare più conveniente vendere piuttosto che acquistare, sottolinea Accornero. Ma al contrario, dato il perdurare dell’euro debole per gli americani, ma anche per altri investitori di Paesi legati al dollaro, potrebbe essere sicuramente più conveniente investire”.
Indiani, cinesi e americani, nonché i fondi francesi e inglesi, si confermano gli investitori più interessati alle opportunità offerte dal nostro Paese. “I francesi, in particolare, in questo momento considerano il nostro Paese molto più dinamico rispetto al loro, sia sul fronte dei cambiamenti normativi che hanno investito il mercato del lavoro, sia per una maggiore flessibilità del mercato in quanto tale e per minori barriere all’entrata in alcuni settori”.

Rosaria Barrile

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!