L’impero costruito su un chicco di caffè

Francesca Vercesi

 

Nato nella periferia di una metropoli, ammesso all’università grazie a un borsa di studio, capace di creare un colosso mondiale nel caffè: Howard Schultz, fondatore e anima di Starbucks, incarna in pieno il sogno americano, quello del self made man. E ora, arrivato il momento del passaggio generazionale, tutto da definire dato che i due figli non paiono candidati a raccoglierne il testimone, si ipotizza per lui un ruolo da uomo forte del partito democratico americano.

 

Tenacia e spirito imprenditoriale

Schultz ha costruito dal nulla e poi fatto crescere Starbucks, che oggi conta 20mila punti vendita nel mondo, di cui quasi 13mila nella madrepatria. Liberale (sostiene i matrimoni gay), con una fortissima vocazione imprenditoriale sin dalla giovinezza e molto aperto di mente, è cresciuto nelle case popolari di Brooklyn e ha vissuto un’infanzia povera: un infortunio, infatti, ha immobilizzato il padre, autista di camion senza assicurazione sanitaria, privando la famiglia del reddito. Entrato alla Northern Michigan University grazie a una borsa di studio conquistata per meriti sportivi, Schultz decide in un secondo momento di non giocare a football per mantenersi all’università, ma di sottoscrivere un prestito d’onore e, per vivere, fa diversi lavori fra cui quello di barista. Dopo un posto di lavoro in Xerox, dove diventa un esperto di vendite, rientra a New York. Tre anni più tardi, accetta di lavorare per Hammarplast, una società di prodotti di un’azienda svedese di cui diventerà vice presidente e general manager alla guida del team di venditori.

 

La costruzione dell’impero

Lavorando per Hammarplast Schultz entra in contatto con Starbucks. Il manager, nel 1981, mette piede nel primo negozio del gruppo dentro il Pike Place Market a Seattle (nello Stato di Washington). E questo cattura la sua attenzione. Dopo un viaggio di lavoro a Milano, dove ha potuto notare il rapporto personale fra i baristi della città e i propri clienti, viene folgorato dall’idea di replicare qualcosa di simile. Così Schultz prova a convincere i fondatori di Starbucks a trasformare la torrefazione in una caffetteria di ispirazione italiana, ma i proprietari declinano.

 

Il legame con l’Italia

È così che decide di perseguire l’idea in proprio con l’insegna ‘Il Giornale’, ma ha bisogno di 1,6 milioni di dollari per far decollare la formula. L’anno successivo, dunque, l’aspirante imprenditore è impegnato a raccogliere fondi: “Ho parlato con 242 persone e 217 mi hanno detto di no. È veramente sconfortante sentirsi dire così tante volte che la propria idea è qualcosa in cui non vale la pena di investire”. Nell’agosto del 1987, dopo due anni di attività, Il Giornale acquisisce le caffetterie Starbucks per 3,8 milioni di dollari e Schultz ne diventa amministratore. Cinque anni più tardi, con una catena di 165 caffetterie, Starbucks sbarca a Wall Street e chiude l’anno con un giro d’affari da 93 milioni di dollari. La sua avventura imprenditoriale ha dello straordinario: ha visto la società passare 11 ai 28 mila punti vendita sparsi in 77 nazioni del mondo. “Ho deciso di costruire la compagnia nella quale mio padre, operaio e veterano della II guerra mondiale non ha mai avuto l’occasione di lavorare”, ha ricordato. E ora gode nel pensare che l’azienda è stata coronata nel recente passato dal sedicesimo inserimento consecutivo di Starbucks lista delle aziende più ammirate del mondo, l’ultima volta in quinta posizione. Oltre che da un apprezzamento complessivo del 21.000% del titolo Starbucks a partire dalla quotazione in Borsa avvenuta nel 1992. “Insieme abbiamo fatto questo e molto di più trovando l’equilibrio tra profitto e coscienza sociale, compassione e rigore, amore e responsabilità”, ha sottolineato una volta.

 

Missiva ai dipendenti

In una lettera ai dipendenti si raccomanda: “Mai abbracciare lo status quo. Abbiate la curiosità di guardare dietro l’angolo e il coraggio di reinventarvi. Il cambiamento è inevitabile e il mondo è diventato un posto più fragile dai tempi in cui abbiamo spalancato le porte dei nostri primi negozi”. Nel 1982 ha sposato Sheri Kersch, ha due figli: Jordan e Addison. Il maschio è un giornalista sportivo per The Huffington Post. Jordan ha sposato Breanna Hawes con una funzione civile e poi col rito ebraico.

 

Futuro da definire

Per quanto riguarda il futuro del sessantaquattrenne Schultz, si legge sul New York Times, si accendono le ipotesi di una corsa alla presidenza degli Stati Uniti nel 2020, dal momento che l’imprenditore è stato spesso indicato come potenziale candidato democratico per la Casa Bianca. “Voglio pensare a una gamma di opzioni, che potrebbe includere il servizio pubblico. Ma sono ancora lontano dal prendere una decisione”, ha risposto il diretto interessato a precisa domanda della testata newyorkese, non mancando di sottolineare di essere “profondamente preoccupato per la nazione”.

 

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