Lavoro, un cantiere sempre aperto

di Claudio Morpurgo

Se il mondo della politica italiana ha una regola è quella che ogni Governo che si è succeduto nelle ultime legislature ha sempre ritenuto di caratterizzarsi mediante riforme impattanti sul mondo del lavoro. Basti pensare, da ultimo, alla Legge Fornero del Governo Monti, al Jobs Act del Governo Renzi, sino al recentissimo decreto “Dignità” del Governo Conte. Quest’ultimo caratterizzato da un titolo davvero altisonante e impegnativo, che in realtà sta trovando numerose voci critiche nel valutarlo, per esempio a livello sindacale (lato datoriale, prima di tutto).

 

Riforma minimale

Alla base di qualunque osservazione vi è la considerazione che si tratta di una riforma minimale che non è all’evidenza in grado di apportare nessun giovamento significativo, né in termini di livello delle tutele del lavoratore né di sostegno allo sviluppo dell’occupazione.

Il focus principale del decreto “Dignità” risiede nella riforma dei contratti a termine e di somministrazione con durata superiore a 12 mesi. Ora non sarà più possibile assumere con tale modalità dopo questo periodo senza indicare il motivo (la cosiddetta “causa”) che giustifica la temporaneità della relazione negoziale. In sostanza, il datore di lavoro, dopo i primi 12 mesi e in relazione a qualsivoglia proroga (con un massimo di 24 mesi totali di rapporto a tempo determinato), dovrà dimostrare che l’assunzione a termine deriva o da “esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori” ovvero da “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”. Questo assetto, veramente generico e poco oggettivo nella sua dimostrabilità, farà ampliare il contenzioso (il contratto a termine ove ritenuto simulato andrà, tra l’altro, impugnato entro 180 giorni) e, soprattutto, aumenterà il turnover dei lavoratori ancora più precarizzati.

 

Crescono le sanzioni per i datori

Un assetto simile è stato riprodotto pure nella materia della somministrazione di lavoro, rispetto alla quale però la previsione di durate limitate e causali si scontra con la natura stessa del rapporto che presenta, originariamente, una causa tipica, cioè quella di far fronte alle esigenze che sorgono da un contratto di somministrazione a tempo determinato stipulato tra un’agenzia per il lavoro e un datore di lavoro utilizzatore.

Ovviamente, il decreto Dignità, non diversamente dalle sopra citate ultime riforme, non poteva poi non toccare, per i suoi effetti mediatici e politici, anche la materia dei licenziamenti. Nessun cambiamento epocale comunque. Per esempio, l’art. 18 nella versione che poneva al centro la tutela della reintegrazione non è stato “restaurato”. Concretamente, il decreto Dignità ha soltanto alzato del 50% le sanzioni economiche per i licenziamenti ingiustificati (per i rapporti sorti dopo il 7 marzo 2015) effettuati in aziende con oltre 15 dipendenti, prevedendo che l’indennità risarcitoria, le cc.dd. “tutele crescenti”, vari tra un minimo di 6 mensilità e un massimo di 36 mensilità. Per i dipendenti di aziende con meno di 15 dipendenti, invece, la tutela risarcitoria sarà ricompresa nella forbice 3/6 mensilità.

 

I problemi restano

L’ultimo tema affrontato dal Governo, tramite il decreto Dignità, ha una forte connotazione politica. Il provvedimento si prefigge di inasprire i limiti connessi alla delocalizzazione di imprese beneficiarie di aiuti di Stato. Il riferimento va, sotto un primo profilo, a quelle imprese (italiane o straniere) che abbiano avuto tali aiuti per effettuare investimenti produttivi e che nei 5 anni successivi delocalizzino in un Paese extra Ue. In questa evenienza l’impresa sarà sanzionata (l’ammontare sarà ricompreso tra due e quattro volte il quantum del beneficio) dovendo restituire pure il percepito con gli interessi.

Secondariamente, l’ipotesi analizzata è quella di un aiuto di Stato condizionato all’effettuazione di investimenti produttivi specificamente localizzati in un determinato sito. In tale evenienza, se, nei 5 anni successivi, l’impresa delocalizzi verso un altro sito, dovrà sempre restituire il beneficio, erogando gli interessi aumentati di 5 punti percentuali rispetto al tasso ufficiale ma senza sanzione amministrativa.

Questo è il riassunto del decreto Dignità che presenta qualche spunto interessante, ma onestamente ben poco apporta nel mondo del lavoro che rimane prigioniero dei suoi problemi e che attende risposte di ben maggiore sostanza.

 

 

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