Affidabilità asburgica

“Partner per generazioni”. Il claim scelto da Gutmann Bank per presentarsi al mercato dice molto dell’approccio seguito dall’istituto austriaco, che combina la tradizionale riservatezza del settore (a cominciare dalla scarsa disponibilità sul fronte della comunicazione) con un affiancamento a tutto tondo della clientela facoltosa, composta da imprenditori, fondazioni, famiglie facoltose e clienti istituzionali. Non a caso il sito della private bank con headquarter a Vienna rivendica che il 77% dei 1.480 clienti censiti alla fine del primo semestre lo è da non meno di dieci anni e il 13% supera i 20 anni. Eppure si è trattato di periodi che hanno visto diverse crisi inficiare la fiducia verso il settore finanziario e al contempo nuovi player affacciarsi sul fronte dell’offerta.

Di pari passo, la società registra un ridotto turnover dei propri dipendenti: su 247, ben 80 sono in organico da più di un decennio. “Una caratteristica apprezzata dalla clientela non tanto per ragioni affettive, ma soprattutto perché questo consente di ragionare sul lungo termine con professionisti di qualità riconosciuta e testata”, sottolineano dalla banca.

 

Il valore dell’indipendenza

Fondata nel 1922 dai fratelli Gutmann, ha sempre mantenuto gelosamente la propria indipendenza, crescendo per gradi. Il primo step è avvenuto tra le due Guerre mondiali, con la licenza per l’intermediazione in valuta estera nel 1932, ma il grande salto si è prodotto a metà del secolo scorso, con l’ingresso di Karl Kahane nell’azionariato (i cui eredi detengono oggi la maggioranza) e poi, a partire dagli anni Ottanta, con il lancio dei primi fondi e l’ingresso nel comparto del private equity. Gli anni Novanta sono quelli dell’apertura alla partnership, con i manager esterni chiamati a condividere la sfida della crescita attraverso l’acquisto di azioni societarie (attualmente i partner sono 20 e detengono complessivamente il 20% del capitale).

La risposta alla grande crisi internazionale è stata una strategia all’attacco: Gutmann, forte di fondi propri, ha aperto prima a Budapest, quindi a Praga e a Salisburgo, puntando a conquistare un ruolo centrale nel ricco mercato mitteleuropeo proprio mentre alcuni grandi gruppi del settore mollavano la presa.

 

I numeri

Al 30 giugno di quest’anno il gruppo Gutmann gestiva asset per 21,6 miliardi di euro (contro i 21,19 miliardi alla chiusura del 2017, a segnare un progresso del 6,6% rispetto all’anno precedente), con gli istituzionali a fare la parte del leone (13,9 miliardi), seguiti dai privati (4,9 miliardi). Numeri che garantiscono il settimo posto tra le private bank austriache, con il primato tra le realtà familiari.

La banca viennese fornisce servizi di gestione patrimoniale, consulenza per gli investimenti, conti correnti, amministrazione di fondi e servizi di custodia, nonché servizi di gestione di portafoglio. Oltre ai già citati fondi di private equity e al focus sugli investimenti immobiliari. In quest’ultimo ambito collabora SHI Management GmbH, società specializzata soprattutto nella gestione di portafoglio relativa alle residenze per anziani, con sede a Monaco di Baviera.

L’uomo forte è Frank W. Lippitt, che ricopre sia la carica di presidente, sia quella di amministratore delegato, oltre a esserne azionista. Come da tradizione della casa, è un manager che si è fatto le ossa all’interno. Nato a Kitzbühel, in Tirolo, si è laureato all’Università di San Gallo ed è stato assunto in Gutmann nel 1987, entrando nel consiglio di amministrazione nel 2001, fino a raggiungerne il vertice nel 2010.

Gli altri tre membri del board sono Matthias Albert, che ricopre anche la carica di head of private clients, Adolf Hengstschläger e Friedrich Strasser, chief financial officer. Insieme con Stephan Wasmayer e Harald Latzko, che compongono il comitato esecutivo, tengono le leve del comando, definendo le strategie di crescita societarie. Che, assicurano dall’istituto, non sono destinate a mutare per le condizioni dei mercati finanziari, per loro natura volatili. Programmi di ulteriore espansione sono allo studio da tempo (la società può contare su una solidità patrimoniale, attestata dal Core Tier 1 del 24,95% a fine 2017 e su un’attività di prestiti molto contenuta), ma saranno messi in campo per gradi.

 

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