Chi si informa, sceglie

Simona Maggi

 

In Italia assicurarsi non va di moda, eppure significa proteggersi da preoccupazioni e rischi. La diversificazione del portafoglio e la copertura da alcuni tipi di rischi sono già elementi caratteristici del dialogo tra banker e cliente. L’obiettivo è diventare punto di riferimento contemporaneamente per la consulenza finanziaria e per la protezione.

 

Percezioni errate

L’esperienza racconta che le famiglie private si sentono protette dalla loro stessa ricchezza, insomma si auto-assicurano, ma siamo entrati nell’era delle incertezze ed è lecito domandare loro perché mai continuare ad assumere su di sé ogni rischio.

Partiamo dalle preoccupazioni. Per fare il primo passo e capire a quali si sentono maggiormente esposti, i private banker hanno il vantaggio di essere eccellenti conoscitori dei loro clienti (in media 74 nuclei familiari a testa). Le famiglie private, segnala un’indagine Aipb, si preoccupano principalmente della loro salute, della stabilità del Paese, del benessere di figli e nipoti. La maggior parte dei clienti condivide queste ansie con il loro referente bancario e, nel 28% dei casi, arriva a discuterne con lui approfonditamente.

Chi tra le famiglie private ha affrontato il tema, oggi possiede una copertura assicurativa. Se il cliente si è mosso in autonomia, nell’ 80% dei casi ha raccolto informazioni per soddisfare le sue esigenze di protezione da un broker o un’agente assicurativo, mentre ai consulenti bancari ha riservato un residuale 20%. L’unica eccezione riguarda la copertura dal rischio di “Riduzione del reddito familiare a seguito cessazione dell’attività lavorativa”, dove la banca è riuscita ad intercettare il cliente una volta su quattro.

 

Vince la flessibilità

Il secondo passo riguarda la flessibilità e la personalizzazione della proposta, perché le famiglie private se l’aspettano. Esattamente come per la gestione degli asset attivi, la soluzione sta nella modularità della gamma di offerta, nelle competenze e nella tecnologia. Niente che non rappresenti già una prassi consolidata  per la gestione professionale del portafoglio finanziario dal momento che i private banker dedicano sistematicamente il 13% del loro “time budget” all’aggiornamento professionale, in molti casi hanno a disposizione piattaforme full digital per poter raggiungere i clienti anche in mobilità e dispongono di un’architettura ampia di strumenti finanziari che gestiscono in funzione delle esigenze del singolo cliente sotto il cappello di un unico contratto di consulenza finanziaria evoluta.

 

Rapporto continuativo

Il terzo passo è delicato, riguarda l’assistenza post vendita che tanto preoccupa le banche. Sono consapevoli che un servizio non eccellente può compromettere il rapporto di fiducia con il cliente. La chiave sta nell’efficienza del momento post vendita, che richiede investimenti importanti nella ridefinizione dei processi dei sinistri. Esistono ormai esperienze di mercato che hanno permesso di dimezzare i tempi medi di liquidazione da 35 a 13 giorni, ma anche in questo ambito la tecnologia digitale sta dando un importante supporto.

Certo, non è semplice convincere gli italiani ad acquistare una polizza danni e questo spiega la diffusa sottoassicurazione del Paese. Alla fine, però, è una questione di educazione assicurativa e di utilizzo sempre più spinto di tecnologie digitali con cui le compagnie cercano di promuovere i comportamenti virtuosi dei loro assicurati, di prevenire i sinistri più che di limitarsi a pagarli. Un’evoluzione rilevante, anche per un private banking che vuole aiutare i suoi clienti a essere più moderni.

 

 

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