Private banking, a vincere sarà il modello ibrido

Nicola Ronchetti*

 

Dieci anni fa il numero uno della più importante società di gestione del risparmio statunitense, mi disse: “Vedrai che, come già avvenuto in Gran Bretagna e Stati Uniti, il mercato del private banking sarà presto gestito dai promotori finanziari (si chiamavano così allora)”. Confesso che all’epoca mi sembrava un’ipotesi azzardata, ora sembra che la profezia si stia avverando: degli oltre 800 miliardi di euro di aum riferibili al mercato italiano del settore, quasi il 40% è gestito da reti di consulenti finanziari.

 

Il consulente è più soddisfatto

Le spiegazioni di questo successo vengono certamente da lontano, ma trovano conferma anche dalla edizione 2018 di Finer PB Explorer, la prima ricerca strutturata post Mifid 2, che ha coinvolto tra giugno e luglio di quest’anno oltre 1.700 private banker delle 30 più importanti banche e reti private.

Dall’analisi sulla soddisfazione riscontrata tra i private banker dipendenti In primo luogo si riscontra una maggiore soddisfazione complessiva tra i private banker consulenti rispetto a queli dipendenti verso la propria banca/mandante: i completamente soddisfatti tra i primi sono ben il 50% contro il 29% dei secondi.

Le ragioni sono molte. Innanzitutto la più importante riguarda la capacità che le direzioni delle reti/banche hanno di fare sentire i propri banker al centro della loro attenzione, coinvolgendoli e motivandoli (vi è un 49% di consulenti private completamente soddisfatti contro il 25% tra i dipendenti).

 

Il senso di appartenenza fa la differenza

Il senso di appartenenza e l’orgoglio di lavorare per la propria rete/banca, come pure la fiducia nel management è il secondo fattore determinante (47% di consulenti completamente soddisfatti contro 21% nell’altra categoria). Segue il supporto in termini di strumenti di marketing, come le attività di comunicazione verso i clienti e a sostegno della propria attività (soddisfazione piena al 66% contro il 44%).

Anche gli strumenti per la pianificazione finanziaria e la profilazione dei clienti vedono i consulenti molto più soddisfatti dei colleghi dipendenti (54% contro 31%). Per non parlare delle dotazioni informatiche quali smartphone, computer, tablet e piattaforme prodotti messi a disposizione della banca/della mandante per poter operare fuori sede o per gestire i clienti in remoto (57% contro 17%).

 

Ritardo tecnologico

È vero che su questo aspetto le reti dei consulenti partono avvantaggiate: da sempre i professionisti del risparmio che operano nelle reti sono adeguatamente e naturalmente attrezzati per operare fuori sede (si tratta di professionisti che operano sul territorio e non basati in una filiale).

Ma è altrettanto vero che fino a cinque-sei anni fa la maggioranza delle banche private non aveva incredibilmente dotato i propri professionisti di smartphone (all’epoca non si chiamavano così e spopolava il Black Berry) in grado di comunicare (leggere e rispondere alle mail o a banali SMS) con i clienti private che, come è noto ai più, vanno gestiti in continuità e non solo negli orari di un ufficio o di una filiale.

E cosa dire dei prodotti di investimento? L’ampia scelta di soluzioni di investimento delle migliori società di gestione del risparmio (Sgr) ha da sempre caratterizzato le reti dei consulenti rispetto al mondo delle banche private tradizionali: infatti il divario per la soddisfazione dell’ampiezza della gamma prodotti è molto ampio tra professionisti che operano nelle reti e quelli nelle banche private tradizionali (completamente sodisfatti 67% contro 45%).

 

Nei prestiti cambiano gli equilibri

Ci sono tuttavia due aree in cui le banche private tradizionali sono in vantaggio rispetto alle reti. La prima riguarda i prodotti di lending, in particolare i crediti Lombard ed i crediti alle imprese – molto importanti visto che oltre il 33% dei clienti private è un imprenditore o viene da una famiglia di imprenditori. Le banche private tradizionali sono in grado di soddisfare i propri dipendenti meglio di quanto non facciano le reti con i lori consulenti finanziari (55% contro 41%).

L’altro aspetto riguarda i servizi di wealth management e il supporto sui temi fiscali, successori, di protezione individuale famigliare e societaria, immobiliari ed in generale che attengono al patrimonio complessivo del cliente e del suo nucleo famigliare. Su questo aspetto i dipendenti esprimono una soddisfazione maggiore (49% rispetto 27%).

 

Scenario in evoluzione

Dall’osservatorio Finer PB Explorer 2018 emerge un altro dato decisamente significativo: tra le prime dieci banche preferite dai private banker italiani in termini di immagine e capacità di attrarre professionisti (la banca dove vorresti lavorare) troviamo ben cinque reti private; nel 2013 erano solo due!

Il private banking italiano è dunque una delle nostre eccellenze, come testimoniano gli altissimi livelli di soddisfazione dei clienti private serviti da strutture dedicate (reti o banche tradizionali), ma è indubbio che i due modelli di servizio, entrambi di successo, esprimono un differente potenziale.

I cambiamenti epocali (smaterializzazione dei servizi bancari, chiusura delle filiali, consulenza evoluta, rivoluzione digitale) a cui stiamo assistendo hanno imposto alle banche tradizionali una profonda revisione del loro modello di servizio, che è avvenuto e sta avvenendo in corso d’opera, senza poter fermare la macchina e lavorando su stratificazioni precedenti che oggettivamente rappresentano una zavorra.

 

Nuovi modelli di servizio

Certamente strutture più snelle, giovani e dedicate al segmento private come le reti dei consulenti finanziari hanno una capacità di adattarsi al mercato in modo più repentino rispetto alle banche tradizionali, forse anche per una questione di età: la rete più anziana (Fideuram) ha solo 50 anni, tutte le altre sono ancora adolescenti o poco più, le banche sono quasi tutte ultracentenarie.

Una bella storia italiana quella a cui stiamo assistendo: dal confronto tra questi due modelli di servizio – reti verso banche – vincerà un nuovo modo di fare private banking e wealth management che saprà sintetizzare ed esaltare i punti di forza ed eccellenza presenti nelle due attuali realtà, probabilmente ibridandole.

Lunga vita dunque al private banking italiano e ai migliori professionisti che ogni giorno si impegnano al servizio dei clienti, delle loro aziende e quindi della nostra economia reale.

 

 

*Fondatore di Finer Finance Explorer, think thank che si occupa di ricerche di mercato in ambito finanziario, in collaborazione con il mondo accademico

 

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