Rendicontazione, i nodi vengono al pettine

Luca Zitiello

 

 

Quando si parla di Mifid 2, si sottolinea che la direttiva europea piuttosto che incidere radicalmente con l’imposizione di divieti generali ed astratti, ha scelto un approccio riformista. In sostanza viene incentivata la trasparenza delle condotte nel dialogo con gli investitori, nella convinzione che la documentazione venga effettivamente letta e compresa da questi ultimi.

La cosiddetta trasparenza ex post, ossia la rendicontazione che dovranno essere mandate ai clienti nel primo trimestre del prossimo anno a valere sulle attività compiute nel 2018 si pone pertanto come importante cartina di tornasole del successo o del fallimento di questa riforma.

 

Informativa in chiaro

Ai sensi della normativa di riferimento gli intermediari dovranno esporre ai clienti gli oneri e costi da questi sostenuti, gli incentivi ricevuti nell’ambito della prestazione dei servizi, l’incidenza dei costi sui rendimenti. Le voci sono davvero sensibili soprattutto se si considera che le stesse dovranno essere esposte sia in valore assoluto, sia in percentuale.

E’ evidente che si tratta, se lette attentamente, di informazioni chiave in cui si dovrà dare una rappresentazione da un lato sia dei costi degli strumenti finanziari che dei costi dei servizi forniti, e dall’altro quanto il loro effetto combinato abbia inciso sui rendimenti (eventuali) del portafoglio, dando così la possibilità agli investitori di formarsi un giudizio di convenienza sul livello di servizio ricevuto dall’intermediario.

 

Restano i dubbi interpretativi

Una forte criticità è rappresentata dalla non uniformità applicativa che emerge dal mercato e dai troppi dubbi interpretativi ancora presenti e non risolti da Esma nonostante alcuni interventi già compiuti nelle q&a. Molte le questioni aperte, tra cui il sistema di aggregazione dei dati per servizio reso, l’applicazione del look through sugli strumenti finanziari di primo livello, l’obbligatorietà dell’indicazione del rendimento o la mera indicazione dell’incidenza dei costi sul rendimento stesso.

La sana competizione deve fondarsi su regole di ingaggio chiare e uniformi. Ne deriva che su un tema così sensibile la normativa avrebbe dovuto prevedere un vero e proprio schema informativo standard con tutte le indicazioni di dettaglio in modo da ridurre al massimo la possibile discrezionalità applicativa degli intermediari.

 

Servono regole chiare

Se la trasparenza informativa, incidendo sulla consapevolezza e le scelte degli investitori, deve guidare la concorrenza e la competitività nel mercato, bisogna che ciò avvenga con regole chiare e precise con cui tutti gli attori del mercato siano chiamati a confrontarsi. Diversamente vi è il serio pericolo che la competizione si sposti sul piano dell’assunzione del rischio di non conformità con comportamenti che però potrebbero mettere in crisi la credibilità dell’intero sistema.

 

Intreccio di normative

A complicare un tema già difficile si è aggiunta poi l’ulteriore questione della parallela entrata in vigore della normativa di attuazione di Idd, che dal 1° di ottobre ha attratto su di sé tutta la disciplina dei prodotti di investimento assicurativi, sostituendosi alla normativa Mifid 2 che fino al 30 settembre ha governato la distribuzione delle polizze ramo III e V (unit linked e capitalizzazione).

Agli intermediari resta il difficile nodo da sciogliere su come rendicontare un’attività che per un certo periodo (3 gennaio – 30 settembre 2018) e per certi prodotti (polizze rami III e V) è avvenuta sotto le regole di Mifid 2 e per un diverso periodo (1 ottobre – 31 dicembre 2018) e per certi prodotti (ramo I, III, V e multiramo) verrà svolta secondo la disciplina prevista dal codice delle assicurazioni.

Ancora una volta chiare indicazioni interpretative sono urgenti al fine di guidare in modo prudente la prima attuazione di queste importanti riforme.

 

 

 

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