Fondi di gran carriera

Nei primi dieci mesi del 2018 si sono registrate 133 operazioni su aziende con fatturato medio pari a circa 48 milioni di Euro e oltre 110 dipendenti. È la fotografia del private equity italiano scattata dall’Osservatorio Private Equity Monitor, attivo presso la Business School della Liuc – Università Cattaneo. E così anche il mese di ottobre si è confermato assai intenso per l’attività di investimento: sono state annunciate ben 23 nuove operazioni, che preannunciano un finale di annata ancora ricco di soddisfazioni per gli operatori e il settore.

Mercato al top

L’indicatore proprietario dell’Osservatorio, il Private Equity Monitor Index (PEM-i) presenta, nei primi tre trimestri dell’anno, numeri molto elevati, segnale di una eccellente vivacità del mercato in senso assoluto: il valore rilevato nel secondo trimestre, pari a 366, inoltre, rappresenta il valore più alto registrato dell’ultimo decennio.

 

Focus sull’industria

A livello di settori d’intervento, il 2018 dimostra una volta di più il consolidato interesse degli operatori verso i prodotti per l’industria e i beni di consumo (55% dell’intero mercato), con una predilezione per questo secondo comparto. A seguire, si rileva la presenza del settore terziario (servizi professionali ad eccezione di quelli finanziari) e di quello alimentare, infine l’industria dei servizi finanziari, grazie al notevole sviluppo delle fintech.

La Business School della Liuc da ormai 18 anni effettua un monitoraggio costante dell’attività di investimento in capitale di rischio, escludendo start up, operazioni di reinvestimento in aziende già in portafoglio e deal realizzati da investitori pubblici, grazie al contributo di Eos Investment Management, EY, Fondo Italiano di Investimento Sgr, McDermott Will & Emery Studio Legale Associato e Value Italy Sgr.

“Il settore del private equity conferma e anzi consolida nel 2018 il buono stato di salute già evidenziato nel corso del triennio precedente – spiega Francesco Bollazzi, docente Liuc e responsabile Osservatorio Private Equity Monitor – In particolare, il 2017 aveva definitivamente segnato il ritorno a livelli di attività di fatto in linea con quelli pre-crisi”. Il dato che era emerso, 123 operazioni, non si registrava infatti dal 2008. “Se possibile, il 2018 consolida amplifica ulteriormente il trend intrapreso, se si considera che alla fine del mese di ottobre sono già, come anticipato, ben 133 le operazioni concluse – aggiunge Bollazzi – E rimane da valutare l’impatto di due dei mesi storicamente più rilevanti, novembre e dicembre, in quanto caratterizzati da livelli di stagionalità assai elevati per il settore dell’investimento in capitale di rischio”.

In testa il buy out

Il mercato conferma inoltre la tendenza già registrata negli ultimi anni – dopo la parentesi del 2011 e del 2012 – con una netta prevalenza delle operazioni di Buy out, che si attestano al 77% delle preferenze. Gli Expansion, in ripresa, seppur faticosa, hanno una quota del 21%, mentre l’ultimo 2% del mercato è costituito dai Turnaround. Nel complesso dei deal realizzati, sono stati registrati 24 add-on (pari al 18% del mercato complessivo), in aumento rispetto alle 15 operazioni realizzate nell’intero 2017, segno di un ruolo ormai di stabile rilevanza assunto dai progetto di aggregazione industriale nel settore.

In termini di distribuzione regionale, la Lombardia risulta la regione con il principale bacino per gli operatori: nel corso dei primi nove mesi dell’anno ha rappresentato il 36% del mercato. Seguono Emilia Romagna (21% del totale), Piemonte (17%) e Veneto (11%): Emilia Romagna e Piemonte, in particolare, confermano il trend di crescita intrapreso nell’ultimo triennio. Il mercato, dunque, rimane fortemente polarizzato nel Nord del nostro Paese, ancor più che negli anni scorsi.

“Il 2018 è stato senza dubbio un anno di grande attività e vivacità dei private equity sul mercato italiano – conferma Enrico Silva, responsabile per il settore Private Equity di EY – In particolar modo i primi sei mesi dell’anno sono stati caratterizzati da un numero di transazioni mai visto in passato. Anche negli ultimi mesi, nonostante l’andamento negativo dei mercati e le pressioni politico-economiche interne e esterne al paese, l’interesse degli investitori italiani e internazionali per le aziende italiane rimane molto elevato”. E anche il mese di novembre è partito nuovamente in quarta, visto che risultano già numerose, infatti, le operazioni concluse.

Nuovo anno incerto

“Le previsioni per il 2019 sono tuttavia nel segno dell’incertezza – aggiunge Silva – la pipeline di transazioni si è indebolita dopo il periodo estivo, non solo in Italia ma in molti paesi Europei  alcuni iniziali segnali di maggiori difficoltà a finanziare le operazioni con leva a causa delle incertezze politico-economiche del paese e un ulteriore incremento della competizione sui deal da parte di player strategici potrebbero rendere più complesso per i private equity raggiungere il numero elevato di transazioni realizzato nel 2018”.

Del resto la componente internazionale a livello di operatori risulta oltremodo fondamentale. In continuità con l’ultimo biennio, infatti, si conferma il forte interesse degli investitori internazionali verso le aziende del nostro Paese: ben il 42% dei deal, infatti, è riconducibile a operatori di matrice non domestica. Anche perché, a portare a termine operazioni di grande rilievo sono spesso investitori con un respiro sovranazionale, in grado di raccogliere risorse in più Paesi e soprattutto essere in grado di mantenere una diversificazione di portafoglio partecipazioni sia geografica sia merceologica. In questo senso si possono leggere infatti le acquisizioni di aziende italiane di assoluto rilievo, tra le quali vi sono Magneti Marelli, Nuovo Trasporto Viaggiatori (Italo), Recordati, Guala Closures, Gruppo Seven, Powercrop, Nutkao, Nadella, Facile.It, Scrigno. Risultano anche di spessore, inoltre, gli ingressi da parte degli operatori di private equity nel capitale di Kiko, Adler, Alpitour, Missoni, Rigoni di Asiago e Zonin.

 

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