Consulenza: le responsabilità legali degli intermediari finanziari

Benedetta Musco Carbonaro* * Socio dello studio legale Zitiello Associati.

 

A chi tocca dimostrare l’esistenza di un’eventuale condotta illecita da parte del consulente finanziario? E quali spazi ha l’intermediario per evitare di essere chiamato in causa? Di questi temi si è occupata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32514 pubblicata il 14 dicembre 2018.

 

La questione

I giudici sono stati chiamati a decidere su una fattispecie di illecito di un promotore finanziario (ora consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede) e sulla conseguente responsabilità della banca ai sensi dell’art. 31 del Tuf. Si trattava in particolare di un caso in cui i clienti lamentavano una serie di appropriazioni indebite a loro danno, poste in essere sia mediante assegni e prelievi sul conto corrente, che mediante consegna di denaro in contanti. Il Tribunale di primo grado aveva accolto le domande degli attori, mentre la Corte di Appello aveva sostanzialmente ribaltato la decisione, accogliendo in buona parte l’impugnazione proposta dalla banca.

 

Interpretazioni difformi

La pronuncia ha suscitato clamore, dando luogo a interpretazioni diverse, come quelle secondo le quali la pronuncia avrebbe limitato i margini per l’applicabilità della condanna solidale a carico dell’intermediario per gli illeciti commessi dai promotori a danno della clientela.

In realtà, una lettura attenta della sentenza dimostra come la stessa si ponga in una scia di continuità rispetto agli orientamenti già più volte espressi in materia dalla giurisprudenza, soprattutto di legittimità. La Cassazione ha infatti affermato nella sentenza in questione il principio di diritto secondo cui “grava sull’investitore l’onere di provare l’illiceità della condotta del promotore, mentre spetta all’intermediario quello di provare che l’illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall’investitore”, principio di per sé non nuovo, che è stato poi declinato e applicato alla vicenda oggetto di causa con criteri di fatto in linea rispetto a quelli enunciati in passato.

 

Prove per l’intermediario finanziario

La Corte ha peraltro confermato interamente la sentenza di appello, rigettando sia il ricorso principale che quello incidentale, rilevando innanzitutto come gli stessi giudici di appello abbiano deciso “nel solco della giurisprudenza di legittimità”, ad ulteriore conferma che in realtà non vi sono “strappi” rispetto al passato, e affermando così in generale la responsabilità dell’intermediario laddove questo non fornisca la prova della connivenza dei clienti nella realizzazione dell’illecito da parte del promotore.

La Cassazione ha poi ribadito che, ai fini dell’interruzione del nesso di occasionalità necessaria e dell’esclusione della responsabilità della banca preponente, non è sufficiente la mera consapevolezza da parte del cliente della violazione delle regole di condotta poste a carico del promotore, ma occorre che i rapporti tra quest’ultimo e il cliente medesimo presentino caratteri di grave ed evidente anomalia, se non addirittura di connivenza o collusione.

 

Giurisprudenza consolidata

Il principio in realtà è consolidato, essendo stato affermato più volte dalla Suprema Corte negli anni passati (già nel 2009, cfr. sentenza Cass. n. 17393), ed in sostanza esclude che la mera anomalia o irregolarità (afferente per esempio alle modalità di conferimento del denaro che il cliente assume di aver voluto investire) possa rilevare di per sé ai fini dell’esclusione della responsabilità della banca.

Degno di nota è anche l’ulteriore principio affermato dalla Cassazione, anche questo tuttavia non nuovo, secondo cui l’onere della prova dell’illecita appropriazione, che pacificamente grava sul cliente, varia nella prospettiva della responsabilità del promotore ovvero dell’intermediario. In particolare, nei confronti di quest’ultimo non sono rilevanti né le condotte processuali esplicitamente ammissive del promotore, né i comportamenti qualificabili come ficta confessio, quale è ad esempio la mancata risposta all’interrogatorio formale che vale quale ammissione dei fatti dedotti e oggetto dell’interrogatorio medesimo. Dunque, per far valere la responsabilità solidale della banca preponente il cliente è tenuto provare l’effettiva consegna del denaro al promotore per finalità di investimento. In assenza della prova di tale finalità, infatti, la responsabilità dell’intermediario non è configurabile per difetto del nesso di occasionalità necessaria tra l’attività demandata al promotore e l’illecito compiuto in danno dell’investitore.

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