Banche private: priorità alla difesa dei margini

Angelo Deiana

 

E’ una fase complessa quella che stanno attraversando le banche italiane. Fusioni, ristrutturazione dei crediti e degli Npl, spread, Qe, mancata crescita del Pil, costo del rischio di credito, Mifid 2, rinnovo del contratto di lavoro. Tutti fattori che rendono instabile il quadro, in particolare sul piano della redditività.

 

La sfida del funding

In ogni caso, al di là di un ritorno più o meno targettizzato del Qe e dell’abbassamento dello spread, è chiaro che la crescita dell’offerta di credito sarà vincolata anche dalla capacità di funding delle banche sul mercato retail. E questo aspetto rafforza il tema critico della razionalizzazione del sistema distributivo e della capacità di sviluppare e presidiare relazioni di clientela stabili. La domanda fondamentale è: ci sono spazi di razionalizzazione sia in termini di costi, sia in termini di efficacia di posizionamento?

 

Le big tech all’attacco

La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo. Certamente è giustificato attendersi che lo sviluppo della multicanalità comporterà un ulteriore, drastico ridimensionamento del ruolo delle reti fisiche di sportelli. Il progressivo inserimento sul mercato dei nativi digitali trasferirà gran parte delle attività sui canali tecnologici. E questo accadrà molto velocemente anche per il nostro sistema bancario costringendo tutti a ripensare il ruolo dello sportello tradizionale in termini di risorse (con nuovi importanti esuberi), servizi offerti, geo-localizzazione sul territorio.

Fin qui, problemi importanti, ma francamente non irrisolvibili. Ma la vera sfida è altrove perché si specchierà nella capacità del sistema bancario e finanziario di stare al passo con le grandi piattaforme tecnologiche (Google, Amazon, Facebook, Apple, AliBaba, Tencent). Sarà un battleground difficile perché le banche e reti dovranno avere competenze sempre più alte, uso intensivo dei processi digitali, customizzazione del servizio. Ma soprattutto, sarà necessario vincere la sfida più grande: quella di trasformarsi a loro volta in piattaforme social.

 

Nuove forme di comunicazione

D’altra parte, risparmiatori, investitori e persone si informano sempre più sui social media; che sia Facebook, o i siti di giornalisti, trader privati o gruppi tematici su Twitter, Telegram o addirittura Instagram (esemplare il fenomeno di StartingFinance: www.startingfinance.com)), si seguono giornalisti finanziari, altri trader o anche semplici investitori “evoluti”.

Su questi canali non solo la diffusione delle notizie è immediata, ma spesso le news sono condivise ancor prima che lo facciano le agenzie ufficiali. E c’è di più: la novità più importante è che le notizie non sono apprese passivamente ma sono commentate da tutti. In tal modo, gli investitori generano un “consensus” sulla notizia stessa. E’ l’inizio dell’era del crowdrating.

 

Vince la competenza

E’ chiaro che, in questo contesto, la sfida si giocherà sul tema delle competenze. Soprattutto per le banche generaliste saranno necessari investimenti sulle risorse umane per colmare il gap di competenze specialistiche. Competenze che, per essere veramente competitive, non dovranno più essere solamente legate all’ambito finanziario ma dovranno necessariamente integrare elementi digitali e di gestione social. Hard e soft skills che saranno fondamentali in tutti i segmenti, compreso il private banking.

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