Deutsche Bank, il giusto mix per il private

“Siamo un gruppo con una presenza in tutto il mondo, ma la testa in Europa. Questo ci consente di assicurare ai clienti il massimo commitment in maniera stabile. Non siamo in Italia per cercare risultati di breve periodo, bensì per accompagnare la crescita delle famiglie in uno scenario destinato a restare complesso a lungo”. Roberto Coletta risponde così alla sollecitazione sul suo mandato in Deutsche Bank come market head Italy del wealth management, divisione

specializzata nella gestione dei grandi patrimoni. Arrivato a luglio, è il momento di delineare i principali obiettivi del team che guida.

 

Negli ultimi anni l’offerta di private banking è diventata molto affollata in Italia. Tutti sottolineano la rilevanza del risparmio in mano alle famiglie, ma occorre fare anche fare i conti con margini sotto pressione tra evoluzione tecnologica e crescenti costi normativi. Quali sono i vostri piani per fare meglio della concorrenza?

È vero che siamo in tanti sul mercato, ma ciascuno con le proprie caratteristica. Il nostro principale punto di forza è l’appartenenza a un grande gruppo internazionale che ha la propria testa nel Vecchio Continente. Quindi possiamo offrire un’offerta fortemente diversificata di consulenza e soluzioni d’investimento, con un approccio specializzato secondo le esigenze della clientela locale. In particolare, il punto di forza dell’Italia è nelle Piccole e medie imprese: vogliamo essere i partner di fiducia di questi imprenditori per tutte le esigenze non solo d’investimento, ma anche legate ai grandi temi del business, che sempre più si muovono in un’ottica globale.

 

La divisione WM di DB ha recentemente lanciato un piano di crescita e di sviluppo globale. Come si inserisce l’Italia in questo contesto?

L’Italia è da sempre centrale per il gruppo, trattandosi dal secondo mercato domestico. Nel 2018 la Germania si è confermata il partner commerciale più importante dell’Italia con un volume di interscambio di 128,4 miliardi di euro. Dunque la struttura italiana sarà coinvolta in maniera forte nel piano globale di attrarre 300 talenti nei prossimi 24 mesi.

 

Qual è la soglia d’ingresso per la clientela nella vostra divisione?

Con il mio arrivo abbiamo riposizionato l’offerta del wealth management per seguire i detentori di patrioni oltre i 2 milioni di euro. Si tratta di un segmento di clientela generalmente complesso e per questa ragione lo serviamo con un’offerta che comprende anche il corporate banking, per seguire operazioni come m&a e co-coverage verso le family holding. In questo modo forniamo servizi a valore aggiunto utili per la famiglia imprenditoriale. Il wealth management segue alcune delle necessità espresse dalla clientela; laddove non arriviamo direttamente, sappiamo di poter contare sulle competenze dell’investment banking di gruppo.

 

Su quali profili professionali puntate?

Nei prossimi mesi inseriremo 15 nuovi professionisti, puntando esclusivamente sui top banker. Questa qualifica non è legata tanto all’entità dei portafogli gestiti, quanto a un track record con skill verificabili e percepite sul mercato. Abbiamo un brand e un management credibili a livello, anche per fare operazione di finanza strutturata e una riconosciuta expertise nell’investment banking. Così punteremo a reclutamenti non tanto tra i wealth manager delle banche commerciali italiane, quanto tra quelle straniere operanti in Italia.

Non ci interessa diventare la più grande tra le internazionali come numero di banker; vogliamo essere la divisione di riferimento per il welth management in riferimento alla clientela di fascia alta, non solo per asset gestiti, ma per livello di sofisticazione e value proposition. Il punto di partenza della nostra divisione è dato da 35 wealth management e 10 miliardi di euro tra aum e lending, quest’ultima un’attività che pochi offrono perché richiede una struttura ben articolata e una forte expertise nell’investment banking al servizio del wealth management per gli imprenditori.

 

Guardando al mercato in generale, cosa aspettarsi da qui in avanti dopo che nel 2018, per la prima volta dopo oltre un decennio, la raccolta netta degli operatori è calata in Europa?

Il mercato del private banking resta molto attraente, ma la compressione margini potrebbe non essere un fatto episodico. Alcuni operatori reagiscono a questo nuovo scenario facendo repricing o mettendo nel basket dell’offerta investimenti illiquidi. Il nostro approccio è consulenziale di lungo termine e non focalizzato sulla vendita di prodotti.

 

E l’Italia come è messa in questo scenario?

La ricchezza privata in Italia ammonta a 9mila miliardi di euro, quindi è un contesto molto interessante, anche perché ben il 60% è allocato nel real estate e solo il 40% negli attivi finanziari, con quest’ultima categoria che comprende anche gli asset aziendali. La parte degli attivi che può essere essere gestita dalle banche supera mille miliardi, mentre attualmente il mercato pb nazionale vale 900 miliardi. Di conseguenza c’è un potenziale di crescita di oltre 100 miliardi, anche se a fronte del calo dei margini vedo spazi solo per strutture di una certa dimensione.

 

Il digitale sta rivoluzionando quasi tutti i settori dell’economia. Che impatto ha sul wealth management?

Quello che ci diciamo oggi in merito la tecnologia, magari risulterà vecchio tra 12 mesi. Pensiamo solo a come sono cambiate le nostre vite di consumatori negli ultimi 3 anni: oggi gestiamo il 70% dei nostri bisogni tramite smartphone. Con questo voglio dire che il tema digitale è centrale per tutte le strutture di gestione dei risparmi, ma più che indicare la direzione migliore rispetto alle altre, posso dire che a vincere sarà chi sarà aperto al cambiamento continuo. I clienti ci chiedono una reportistica puntuale e di fare operazioni anche a distanza: per questo stiamo investendo in nuova piattaforma. Fermo restando che nella fascia più alta del mercato il fattore umano resterà preponderante.

 

Il tema attualmente più caldo sul fronte degli investimenti risponde all’acronomico Esg. A suo avviso si tratta di un driver di sviluppo o di una moda temporanea? Non vede il rischio che il green washing possa confondere gli investitori, inquinando anche quanto di buono c’è sul mercato?

I whealth manager hanno un compito molto importante: guidare, spiegare a chi richiede investimenti sostenibili cosa significa davvero. Per quanto ci riguarda non rispondono a un approccio opportunistico, DB ci lavora da anni. Quindi seguiamo il trend con scelte d’investimento rigorose per portare valore aggiunto nel lungo periodo.

 

Qual è il principale obiettivo della vostra divisione per il 2020?

Crescere sia a livello si aum, sia di value proposition. Abbiamo 7 unit nel territorio nazionale: Milano, Roma, Verona, Torino, Lecco, Firenze e Napoli. A Milano c’è inoltre il polo per la clientela HNWI. I nostri relation manager poi seguono i clienti in tutto il territorio nazionale.

 

Chiudiamo con due battute su di lei: quali sono le sue passioni e come incidono sul suo lavoro?

Sono un mediocre giocatore di tennis e mi piace correre anche in solitaria. Più in generale ho una predilezione per gli sport individuali sfida, in quanto spingono a sfidare sé stessi e i propri limiti. Il lavoro che faccio è invece principalmente di squadra. Ai miei collaboratori dico sempre che correndo da soli si va più veloci, ma per andare lontano occorre muoversi come squadra. Proprio per questo dal prossimo anno inseriremo come kpi (indicatori di performance, ndr) i risultati di squadra. Nel wealth management di Deutsche Bank non si ragiona con l’io, ma con il noi.

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