Banca Cesare Ponti tra presente e futuro

Il prossimo anno Banca Cesare Ponti spegnerà 150 candeline. Per la private bank fondata a Genova nel 1871 è quindi l’occasione di fare un bilancio di cosa è cambiato non solo per l’istituto, ma tutto il mercato nel quale opera. Lo abbiamo fatto intervistando l’amministratore delegato Maurizio Zancanaro e la responsabile dello sviluppo Sofia Rossi. Due generazioni a confronto, a disegnare un ponte capace di coniugare tradizione e proiezione al futuro.

 

Dott. Zancanaro, il sistema bancario ha superato indenne decine di crisi economiche e finanziarie nel corso dei secoli, anche se oggi è molto diverso anche solo rispetto a qualche anno fa. Nel caso particolare di Banca Cesare Ponti, quali sono le principali differenze rispetto ai suoi primi passi sul mercato?

Sono cambiate moltissime cose: quella di fine Ottocento era una banca che faceva lo sconto, con il cliente che veniva servito personalmente. Tutte le procedure erano manuali e non c’era traccia dei sistemi informatizzati. Il mio presidente, che porta il nome della banca, ricorda che suo nonno gli raccontava di molti ultimo dell’anno passati a far quadrare il bilancio della banca a mano. Era l’epoca in cui il direttore di filiale conosceva il cliente, la sua storia, la tradizione familiare. Siamo cresciuti e ci siamo evoluti, abbiamo trovato modi per velocizzare le operazioni e modi per rendere automatiche le operazioni. Abbiamo affinato la sensibilità e capacità di conoscere un cliente attraverso sistemi di calcolo che sono arrivati all’alienazione, ciò comporta che il credito, per certi importi, venga concesso tramite sistemi informatici.

 

Quindi oggi va meglio che allora?

È sempre una forzatura paragonare diverse epoche storiche. Di certo c’è che i progressi compiuti hanno reso il monitoraggio più efficiente, ma inevitabilmente in ambito bancario si è spersonalizzato il rapporto con il cliente.

 

 

Può il computer sostituire il rapporto con il cliente? Può un cosiddetto “robot” diventare un operatore di banca? Lo chiediamo a Sofia Rossi.

Non possiamo negare che l’informatizzazione snellisce i processi, rende efficiente il sistema, agevola la ricerca di studio sui mercati ma abbiamo anche visto che siamo anche schiavi di un sistema che a reazioni prestabilite dei mercati reagiscono in modo automatico, su impostazioni inserite sul sistema. Ogni cliente è così considerato in una massa che determina il prezzo e l’andamento della borsa, senza distinzione della vera volontà del cliente sugli investimenti.

 

Zancanaro, quindi oggi il mestiere è più semplice che in passato?

Si, e per onestà intellettuale bisogna dire che si lavora di meno, si contrae il rischio, ma a volte si mortifica quella che è stata la storia di grossi agenti di cambio ed operatori di borsa e la loro esperienza. Si perde un valore di analisi e di conoscenza. Per una certa tipologia di clientela questo approccio è corretto, per altri non è corrispondente alla necessità effettiva della clientela. Possiamo investire in ogni parte del mondo e in ogni tipologia di investimento, ma siamo sicuri che è quello che vuole il cliente? Siamo sicuri che così non abbiamo massificato tutto?

 

Quali risposte vi siete dati?

Il nostro valore aggiunto è nel selezionare personalmente, conoscere il gestore/”meccanico” personalmente che ha costruito con amore e orgoglio pezzo per pezzo lo strumento che andiamo a proporre ai nostri clienti.

E’ una strada lunga, dura e difficile in cui dobbiamo avere persone eccellenti professionalmente e dedicate in via esclusiva a fare questo tipo di attività. Questo mi fa venire alla mente uno dei grandi temi presenti nelle mie interviste, paragonando i mercati di aree geografiche diverse. Uno dei maggiori problemi odierni è il fatto che il cliente non vuole pagare il servizio di consulenza perché non ne percepisce il valore aggiunto effettivo.

 

Rossi, quale tipologia di clientela apprezza questo tipo di servizio?

Voglio essere controcorrente e risondo tutti. I volumi non fanno e non devono far modificare le esigenze. Non voglio fare filosofia, ma dobbiamo ricordarci che se vogliamo metter al centro del business il cliente, bisogna ricordarsi che il cliente che ha 200.000 euro deve avere la stessa attenzione di uno che ha 20 milioni.

 

Per scendere nel pratico, cosa state facendo?

La nostra filosofia è sempre stata di curare nei particolari le esigenze dei clienti, prima nel versamento allo sportello adesso la grande sfida sta nel diventare specialisti di eccellenza nel ricercare prodotti dove possiamo avere la personale conoscenza del gestore. Abbiamo bisogno di avere, anche nei momenti critici, di avere un nome, una storia con cui raffrontarsi.

 

Lei che è così giovane, si ritrova in questo discorso  forse un po’ lontano dall’era digitale in cui è cresciuta?

Vengo dalla consulenza e poi da un grande istituto bancario. Sono nata con il digitale dove il lavoro e la vita personale ruotano intorno alle app; questo ritorno al passato è l’unico modo in cui una banca potrà chiedere una remunerazione di un servizio.

 

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