Ultima chiamata per i patrimoni all’estero

Fidinam, tratto dal sito aziendale

 

Ultima chiamata per i contribuenti italiani con conti in Svizzera.

Da qualche anno le autorità fiscali italiane ed elvetiche collaborano attivamente scambiandosi informazioni aventi ad oggetto posizioni finanziarie detenute da specifici contribuenti in Svizzera. Tale forma di cooperazione è strettamente correlata alla mancata adesione da parte dei soggetti italiani che detenevano attività finanziarie nel Paese elvetico alla procedura di voluntary disclosure, con la quale era stata concessa la possibilità di regolarizzare spontaneamente la propria posizione con il Fisco italiano mediante pagamento delle imposte dovute a fronte di sanzioni ridotte e di una generalizzata copertura penale per i reati fiscali connessi alle violazioni tributarie.

 

La cooperazione

Il primo passo verso la cooperazione risale al 23.02.2015 con la sottoscrizione del Protocollo di modifica della Convenzione contro le doppie imposizioni vigente tra i due Stati (Cdi), ratificato con Legge n. 69/2016, e una roadmap contestualmente siglata sulle questioni fiscali e finanziarie.

In prima battuta, così, i due Stati adottavano lo scambio di informazioni su richiesta in quanto la roadmap prevedeva la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di presentare alle Autorità svizzere le cd. richieste di “gruppo” riferite a particolari contribuenti che fra la data della firma del Protocollo (23.02.2015) e l’entrata in vigore dello scambio automatico di informazioni (1.1.2017) avessero assunto comportamenti di “ostruzione” verso il Fisco italiano relativamente ai propri conti correnti detenuti all’estero.

Per dare attuazione agli accordi internazionali appena citati, l’Amministrazione federale delle contribuzioni (Afc) ed il Mef hanno stipulato, in data 2 marzo 2017, un ulteriore accordo che regolamenta le modalità operative per effettuare le richieste cd. raggruppate.

 

Occhio ai rischi

A seguito di ciò, l’Agenzia delle Entrate ha inviato diverse richieste di gruppo all’Autorità svizzera riguardante i conti detenuti dai residenti in Italia presso gli istituti bancari elvetici dal 23.2.2015 al 31.12.2016 (prima dell’entrata in vigore dello scambio automatico). I destinatari di tale richieste di informazioni risultano essere i contribuenti cosiddetti “recalcitranti”, ovvero coloro che, per eludere o aggirare il futuro scambio automatico di informazioni hanno chiuso i conti correnti detenuti presso banche svizzere durante tale periodo di riferimento, magari effettuando pure transazioni internazionali mediante bonifici in uscita finalizzati alla dismissione della relazione bancaria elvetica.

Nonostante la procedura della voluntary sia stata adottata dalla maggioranza dei contribuenti, non sono pochi i residenti italiani che hanno ricevuto le lettere da parte della propria banca (da UBS a BSI, ma in generale, quasi tutti gli intermediari elvetici) che li invita a prestare il consenso per comunicare i propri dati personali nonché quelli relativi al conto corrente svizzero direttamente alle autorità fiscali italiane.

 

Gli step da seguire

In tale comunicazione, l’istituto finanziario delinea al contribuente i vari step da seguire per poter partecipare al procedimento svizzero di assistenza informativa. In particolare, la persona fisica residente in Italia e titolare del conto “sospetto” avrebbe dovuto notificare un proprio recapito in Svizzera e firmare l’autorizzazione a trasmettere i propri dati all’Agenzia delle Entrate per mezzo dell’Afc; qualora, non avesse aderito alla procedura, l’AFC avrebbe emesso una decisione sulla posizione del contribuente, impugnabile dinanzi al Taf (Tribunale Amministrativo Federale).

 

Il ravvedimento operoso

Dunque, i casi più frequenti che la richiesta di gruppo intende colpire riguardano quei contribuenti che non hanno aderito alla voluntary disclosure e hanno provveduto a chiudere i conti correnti svizzeri dopo il 23.2.2015, così come coloro che – impauriti dalle richieste inviate ad altri clienti italiani nelle loro stesse condizioni nonché da un futuro scambio automatico di informazioni – hanno deciso di spostare la residenza in Svizzera nel 2015.

Qualora il contribuente detentore delle attività finanziarie in Svizzera non avesse ancora regolarizzato la propria posizione fiscale potrebbe avere una ultima chance a disposizione: il ravvedimento operoso.

Infatti, con il ravvedimento operoso ex art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997 è possibile rimediare alle proprie irregolarità fiscali eseguendo spontaneamente il pagamento delle imposte dovute, degli interessi calcolati al tasso legale annuo oltre alle sanzioni previste in misura ridotta (a seconda del tempo effettivamente trascorso dalla scadenza del termine ordinario per adempiere).

 

Il rischio di temporeggiare

Tuttavia, il contribuente deve ravvedersi prima della formale conoscenza a suo carico di accessi, ispezioni e verifiche e prima ancora che l’Amministrazione finanziaria italiana abbia provveduto alla notifica di avvisi di accertamento nei suoi confronti. Essendo l’ultimo treno per i contribuenti che intendono rimediare alle proprie “dimenticanze” con il Fisco, il ravvedimento operoso è pur sempre una procedura consigliabile in quanto è molto rischioso temporeggiare ulteriormente nella speranza che l’Agenzia delle Entrate non agisca sui periodi di imposta ancora accertabili.

 

Le anomalie

Su tale tema, vi è da rilevare un’anomalia non poco rilevante: nonostante la Svizzera abbia fatto importanti passi in tema di trasparenza fiscale così da essere inclusa dal D.M. 9.8.2016 tra gli Stati white list che adottano lo scambio di informazioni con l’Italia, non si comprende la ragione secondo la quale tale Stato sia tutt’oggi presente nella lista dei Paesi a fiscalità privilegiata diramata dal D.M. del 4 maggio 1999. Da tale circostanza discende la diretta conseguenza che i periodi d’imposta da “sanare” saranno sempre 10 e non 5. Molto probabilmente, l’anomalia appena citata ha una giustificazione di natura sostanziale: difatti, se non operasse il raddoppio dei termini, i contribuenti intransigenti e meno collaborativi rischierebbero di avere un vantaggio proprio per aver tentato, fino all’ultimo, di sottrarsi all’imposizione italiana.

 

Implicazioni penali

Da ultimo, ma non in ordine d’importanza, si segnala che sul fronte della punibilità penale l’istituto del ravvedimento operoso, contrariamente alla voluntary, non prevede anche la copertura penale ampia quando dalle violazioni tributarie risultano sussistenti reati tributari. Ad esempio, qualora al contribuente ravveduto venissero contestati gli estremi per i reati di riciclaggio e autoriciclaggio, questi non potrebbe beneficiare tramite il ravvedimento operoso di una tutela che escluda la sua punibilità per le fattispecie in questione.

Tuttavia, se dalle violazioni poste in essere dal contribuente riguardo alle attività finanziarie detenute all’estero dovessero realizzarsi i presupposti dell’infedele dichiarazione, il ravvedimento operoso potrebbe condurre alla non punibilità. Infatti, l’art. 13 co. 2 del D.lgs. 74/2000 prevede che non sia punibile per il reato di dichiarazione infedele il contribuente che, entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva, pone in essere il ravvedimento operoso.

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