Da soli non basteranno certo a combattere la cronica sottocapitalizzazione delle Pmi, ma potranno dare una spinta importante. Secondo stime di Equita Sim, i Pir alternativi potranno raccogliere fino a 3 miliardi di euro all’anno per arrivare a 15 miliardi nell’arco di un quinquennio.
Introdotti con il DL Rilancio, questi strumenti prevedono la detassazione sugli eventuali guadagni per chi li sottoscrive e li mantiene in portafoglio per almeno 5 anni. A differenza dei Pir tradizionali, che fissano la quota massima detassabile a quota 30 mila euro annui, gli alternativi alzano l’asticella fino a 150 mila euro. Agevolazione fiscale che scatta a patto di investire almeno il 70% del portafoglio in Pmi quotate e non, con un limite di concentrazione in una singola azienda fino al 20% (il doppio dei Pir tradizionali, che comunque restano sul mercato). Questo promette di aprire le porte dell’investimento alla clientela del private banking, che ha maggiori disponibilità del retail ed è più disposta a destinarne una parte ad asset poco liquidi.
Una novità rispetto ai tradizionali fondi alternativi che fissano la soglia d’ingresso a mezzo milione è data dal fatto che i Pir alternativi non prevedono soglie d’ingresso a 500 mila euro, ma ben inferiori, fino a 10 mila euro. Una scelta dettata dalla volontà del legislatore di favorire l’investimento, che porterà ossigeno alle Pmi italiane, ma nell’ambito di un’ampia diversificazione del portafoglio.