di Massimiliano Carrà
Per chi ancora resiste nella convinzione che “piccolo è bello” è l’ora di guardare in faccia alla realtà. La crisi che si è aperta con la pandemia di Coronavirus spinge la crescita dimensionale, anche attraverso m&a. In questo scenario, il private equity può agire da aggregatore per creare campioni nazionali. È la convinzione di Michele Gallo, amministratore delegato e partner di Alcedo Sgr, società che guida assieme a Maurizio Tiveron (founder, presidente e partner) e a Filippo Nalon (partner).
La vostra è una delle realtà storiche del private equity italiano, avendo oltre 30 di vita. Come è cambiato il mercato da allora?
I cambiamenti sono stati tanti, ma l’attività principale della società è rimasta sempre la stessa. La fondazione risale al 1987, per opera dei tre soci Maurizio Tiveron, Maurizio Masetti (scomparso tre anni fa) e Giovanni Gaio, ma il nome attuale risale al 2000, alla fine di un’esperienza di collaborazione con la 21 Investimenti di Alessandro Benetton. Dopo sei anni all’interno del gruppo Sanpaolo Imi siamo diventati totalmente indipendenti attraverso un’operazione di management buy out e da allora abbiamo mantenuto la configurazione attuale.
Qual è la vostra strategia d’investimento?
In tutti questi anni abbiamo sviluppato la capacità di accompagnare le pmi in percorsi di crescita importanti e ambiziosi che hanno permesso alle aziende di internazionalizzarsi, di acquisire società concorrenti e di ampliare il proprio business e il portafoglio prodotti. In sintesi, spingiamo tutte quelle leve utili a farle crescere. E questo ci ha permesso da una parte di conquistare credibilità agli occhi degli investitori, degli imprenditori e dei manager, dall’altra ci ha dato una grande capacità di capire quali sono le esigenze delle pmi nei diversi cicli economici che può vivere, soprattutto in tempi difficili come quelli odierni. Volendo chiudere il cerchio, non facciamo altro che investire in aziende con importanti prospettive di crescita e che hanno la necessità di avere il supporto di una figura come la nostra per raggiungere questo obiettivo.
Come hanno chiuso il 2019 le aziende che avete in portafoglio? Come hanno reagito allo scenario imposto dalla pandemia?
Al momento il nostro portafoglio conta 8 aziende. L’ultima operazione è l’acquisizione del 70% di Bertoncello, una società in continua crescita. Nel 2019 ha fatto registrare un fatturato di 19 milioni di euro (nel 2018 era di 16,2) e, come gran parte delle aziende food, durante il lockdown ha reagito abbastanza positivamente. Lo stesso vale per un’altra nostra azienda attiva nel settore food, Eurochef, che nel 2019 ha fatto registrare un fatturato di 19,9 milioni di euro)
In linea di massima, anche Exa (che ha chiuso il 2019 con un fatturato di circa 178,9 milioni di euro), Swisscare (24,5 milioni di euro), Aeromeccanica Stranich (25,9 milioni di euro), Duplomatic MS Spa (114,1 milioni di euro, Demetra (25,6 milioni di euro) hanno risposto abbastanza positivamente. Anche se c’è stato un rallentamento delle vendite, dovuto anche alla chiusura degli stabilimenti che le porterà a chiudere sotto-budget, già dall’anno prossimo ci aspettiamo un ritorno sui livelli in linea con il piano. Discorso diverso, invece, per Finest Shoes, investita dalla crisi del fashion causata dal Covid-19. Per affrontare questa emergenza nel migliore dei modi abbiamo fatto ricorso agli strumenti economici messi in campo dal governo, come la cassa integrazione e, nel caso di alcune aziende, anche della moratoria.
Oltre all’acquisizione del 70% di Bertoncello, quali sono gli investimenti più rilevanti che avete concluso negli ultimi anni?
Con riferimento al fondo Alcedo III, tra le operazioni più significative vi è Pixartprinting, attiva nella stampa via web nel settore b2b. Dopo averla accompagnata per due anni e mezzo nel suo percorso di crescita e di trasformazione da azienda familiare a manageriale, l’abbiamo venduta al gruppo Vistaprint, leader mondiale nella stampa via web nel settore b2c,
a un prezzo sei volte superiore rispetto al capitale che avevamo investito.
Un’altra operazione importante sempre riferita al fondo Alcedo III è quella riguardante JK Group che oggi è un’azienda leader mondiale nella produzione di inchiostri sublimatici per applicazioni industriali prevalentemente nel settore tessile e grafico. Anche in questo caso, per due anni e mezzo abbiamo accompagnato l’azienda nel suo percorso di crescita (che ha visto tre acquisizioni) e poi l’abbiamo venduta a una multinazionale americana quotata alla borsa di New York a un prezzo sei volte superiore rispetto al capitale investito.
Riguardo ad Alcedo IV, che è un fondo giovane essendo stato creato nel 2016, tra le operazioni più importanti annovero Exa e Duplomatic. Inoltre abbiamo avviato un progetto nel food, dove lavoriamo su alcune ipotesi di aggregazione che rafforzeranno la nostra presenza nel settore. A questo proposito abbiamo tre progetti in pipeline che vorremmo concludere entro l’anno.
Quale può essere il ruolo del private equity in un momento di crisi come quello odierno?
Il private equity in un momento come questo è sicuramente fondamentale, soprattutto quando ci si riferisce al settore che lavora a stretto contatto con le pmi. E visto che da anni ormai la concezione “del piccolo è bello” è stata superata per tanti fattori, tra cui la globalizzazione, gli operatori di private equity giocano un ruolo di livello per le pmi, sia in termini di crescita, sia di gestione dell’azienda e dei possibili momenti di crisi, come quello attuale. In sintesi, potremmo definire il private equity un acceleratore di aggregazione, di crescita, di progetti e di sviluppo che, quindi, aiuta e fornisce sostegno all’imprenditoria italiana.
Infine uno sguardo d’insieme: come giudica il recovery fund?
È una novità assolutamente positiva perché è la prima volta che l’Europa adotta uno strumento solidaristico nei confronti dei paesi in difficoltà, rompendo un tabù storico. E’ però fondamentale che queste risorse arrivino velocemente e che siano utilizzate veramente per migliorare il tessuto infrastrutturale e imprenditoriale dell’Italia. Infatti, se prima non c’erano i mezzi finanziari per farlo, adesso non ci sono più scuse. È il momento di realizzare tutto ciò che c’è in programma.