Il vecchio e il cocktail

Luca Coslovich

 

Giustamente famoso per i suoi libri, ma noto anche per la sua passione per il bere. Hernst Hemingway è il cliente che ogni bartender avrebbe voluto sullo sgabello davanti al banco bar. Non esiste praticamente alcun alcolico che sia sfuggito all’autore de “Il vecchio e il mare”: dai mojito e i Daiquiri all’Havana, ai vini francesi bevuti a Parigi con l’intellighenzia dell’epoca, da Picasso a Gertrude Stein, passando per i coniugi Fitgerald. Le leggende sui cocktail legati ad Hemingway si sprecano: ogni volta che si cercano aneddoti sulla nascita o la storia di un cocktail della sua epoca, il suo nome fa irrimediabilmente capolino.

 

Doppio rum

Di sicuro sappiamo che, dopo aver assaggiato il Daiquiri al “el Floridita” dell’Havana, lo ha trovato troppo dolce per i suoi gusti, e con l’aiuto del bartender Costantino “Constante” Ribalaigua creato una sua versione chiamata Papa doble, con “meno zucchero e più rum, da cui il doble del nome, che sta a significare doppio rum. Per togliere definitivamente la dolcezza in eccesso troviamo il succo di pompelmo. Lo scrittore era frequentemente ospite del nostro paese, tra Cortina e Venezia, dove aveva il suo tavolo riservato all’Harrys bar di Giuseppe Cipriani, di cui era diventato amico. Passava le serate nel tavolino in fondo a sinistra a osservare l’umanità varia e variopinta, per poi ritirarsi alle 22 nella sua stanza alla locanda del Torcello, dove creava quel capolavoro che è “Al di là del fiume, tra gli alberi” con l’ausilio, si dice, di sei bottiglie di amarone, che non arrivavano a mattina.

 

Il Montgomery Martini

Dobbiamo a lui l’invenzione del Montgomery Martini, una variazione potente del classico cocktail, in cui le proporzioni tra vermouth e gin dovevano essere le stesse della battaglia di El Alamein, con in testa appunto il generale Montgomery: quindici soldati inglesi per ogni soldato italiano. Pare che lo avesse fatto assaggiare a Cipriani in persona.  Le abitudini alcoliche dello scrittore variavano a seconda del posto in cui si trovava, possiamo tranquillamente dire che pensava globalmente e beveva localmente. Unica eccezione il Martini cocktail, un classico a tutte le latitudini, e doveva essere cosi ghiacciato da attacrsi alle dita.  Ovviamente, da buon americano non disdegnava il buon whisky, tanto da scrivere in “Per chi suona la campana”, che il whisky “non si arriccia dentro di te come fa l’assenzio”. Pare che il whisky & soda sia il drink più menzionato nei suoi scritti. Ovviamente questo spazio non è sufficiente per raccontare di tutti gli intrecci di Ernst Hemingway con il bere miscelato e no. Per altre informazioni, potete chiedere al vostro barman di riferimento.

 

 

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