La dinastia dei Wendel

Antonio Potenza

La Wendel può vantare più di 300 anni di storia familiare e imprenditoriale, strettamente legata alla produzione e vendita del ferro.  A distanza di tre secoli, oggi l’azienda familiare è totalmente diversa, votata all’investimento e quotata in borsa a Parigi, con più di mille azionisti e un fatturato di 7,4 miliardi di euro nel 2020.

 

Le origini

La famiglia Wendel (in francese De Wendel) affonda le proprie radici a Bruges, nelle Friande. Lì Christian Wendel, grazie al contributo della moglie Anne-Marguerite Meyer, figlia di un impiegato fermier (sistema privatizzato di riscossione delle imposte nella Francia settecentesca), decise di acquistare dal re di Francia un insediamento di lavoro del ferro nel 1704.

A Charles l’investimento costò 9mila lire tornesi (circa 2.000 dollari attuali) e un canone di 100 lire annuali. Nella loggia di Hayange e in quella specifica regione della Lorena, si estraeva ferro già dal 1260 e dalla metà del 1400 aveva cominciato a operare la fucina. L’insediamento acquistato prevedeva una forgia, una fornace, una pressa e un impianto da taglio, più un titolo nobiliare. E questo spiega la forte attrazione, nel settecento, per la lavorazione del ferro.

Al fine di far funzionare al meglio la sua azienda, Christian Wendel investì un totale 30 mila lire, più di 6.200 dollari.

 

La rivoluzione francese

A cavallo tra i due secoli l’azienda ampliò le proprie risorse sotto la guida del figlio di Charles, Ignace. Al processo di espansione dell’azienda seguì quello di ascensione sociale, tema spesso legato alla storia della famiglia almeno fino alla metà del Novecento. Tuttavia i Wendel, a causa della crisi dell’acciaio, furono costretti a emigrare a Parigi dove però bruciavano gli ardori della rivoluzione. Una famiglia la loro, strettamente legata alle istituzioni politiche, divenne chiaramente molto vulnerabile.

Alla morte di Ignace, la vedova provò a portare avanti l’impresa ma i tumulti rivoluzionari finirono per inglobare la dinastia: la vedova fu imprigionata e suo nipote fu ghigliottinato. Quindi il governo rivoluzionario confiscò le fonderie e molti membri della famiglia si trovarono esiliati in altri regni europei.

Lo sfavillio della famiglia tornò solo vent’anni dopo, quando Napoleone offrì un’amnistia agli emigrati nel 1803. Francois de Wendel, figlio di Ignace, tornò allora dall’esilio e riaccese i fuochi delle fonderie più potenti di Europa.

 

Il primato europeo

Fino al 1870 il gruppo si avvalse delle principali invenzioni per accelerare lo sviluppo della propria produzione siderurgica: ferro fuso con coke, uso diffuso di altiforni e laminatoi, sviluppo delle ferrovie, creazione e fornitura di armi.

Francois, figlio di Ignace, ampliò in modo significativo le attività a metà del secolo, quando venne a conoscenza che le fonderie di Haynge erano in vendita. L’offerta pubblica fu di 220mila franchi, corrispondenti a 44mila dollari. La mossa di acquisto portò, nel 1870, la Wendel et Cie a essere tra le più grandi aziende siderurgiche in Francia, con 7mila lavoratori e con un volume di produzione pari a 134.500 tonnellate di ghisa e 112.500 tonnellate di ferro all’anno.

Francois divenne capo di una delle aziende più potenti d’Europa e fece carriera all’interno del Consiglio generale della Mosella e guidò il Comité de Forges, rappresentando i maggiori esponenti dell’industria pesante. In questo modo, riuscì a far diventare l’acciaio la spina dorsale del Paese e a essere allo stesso tempo uno degli uomini politici più influenti di Francia.

 

Il momento per cambiare

La fine della Seconda guerra mondiale sancì il momento di ricostruzione del Paese, ma anche del cambiamento totale dell’azienda che aveva attraversato i due eventi globali in modo dimesso. Sia nella prima, che nella seconda, le acciaierie passarono in mano ai tedeschi che preferirono smantellare gli insediamenti piuttosto che sfruttarli. Gli impianti tornarono in funzione solo a inizi anni ’50.

Fu quello il momento in cui i Wendel si resero conto che il modello di business strettamente legato alla figura del capostipite risultava ormai inefficace e bisognava puntare al gigantismo industriale. Questi sforzi di ampliamento furono in parte appoggiati dai finanziamenti dello Stato e di nuovi investitori.

Sui 19,6 miliardi di franchi (47,6 milioni di dollari attuali) investiti nel periodo ’50-’52, più di 11,1 miliardi furono frutto dell’autofinanziamento, 2,6 miliardi provennero dagli investitori e 3,7 da prestiti a lungo termine concessi dallo Stato. Negli anni 1955-1957 l’azienda iscrisse a bilancio 38,6 miliardi di franchi, di cui 37 finanziati con risorse interne. Nel ’58 l’esposizione nei confronti delle banche era rientrata.

Gli sforzi ripagarono e portarono la Wendel a controllare circa il 72% della produzione di acciaio in Francia, con 2,76 milioni di tonnellate annue, nel 1975.

Il momento della metamorfosi arrivò pochi anni dopo, quando la famiglia dovette affrontare la possibilità di nazionalizzazione dell’impresa e l’ennesima crisi dell’acciaio. Alcuni membri proposero un’importante ristrutturazione, ovvero la creazione di una holding che separasse le attività siderurgiche da altre partecipazioni finanziarie.

Nacque così la Compagnie Générale d’Industrie et de Participations (CGIP), holding di partecipazioni controllata dalla Famiglia Wendel con la filosofia di essere un “azionista imprenditoriale”.

Quest’ultima trasformazione ha dato al Gruppo Wendel la possibilità di coprire settori nuovi e distinti, come tecnologia e servizi.

 

L’azienda oggi

Attualmente gli oltre mille membri della famiglia Wendel sono rappresentati presso la Wendel Participations, che possiede una parte del gruppo Wendel, quotato in borsa. L’attuale forma dell’azienda arrivò nel 2002, attraverso la fusione di Marine-Wendel e Cgip, per poi quotarsi in borsa nel 2007. Il gruppo ha investito a lungo termine in numerose aziende come Capgemini, Legrand, Valeo e Saint-Gobain.

I discendenti di Jean-Georges sono rappresentati da sei membri nel consiglio di sorveglianza. Infine il resto del capitale è distribuito principalmente tra investitori istituzionali che sono il 37,7%, i singoli azionisti il 18,8% e i dipendenti Wendel che arrivano al 2,3%.

Nel 2016 l’azienda ha raggiunto la soglia dei 7 miliardi di fatturato. Il titolo dalla sua quotazione però ha avuto una percentuale totale fino a oggi del -13,24%.

Il rendimento dell’azienda nel 2020 segna un’entrata di 7,4 miliardi, ma con una perdita del -8,03% sul 2019. Sull’andamento totale ha inciso particolarmente la pandemia che ha portato l’azienda a perdere una parte importante dei suoi introiti, segnando un record negativo del -13,04% in un anno. Gli investimenti targati Wendel però stanno portando l’azienda ai livelli pre-pandemici.

L’operazione degli anni ’70 prima e quella del 2002 dopo hanno permesso all’antica azienda siderurgica di entrarein nuove fette di mercato dimostrando, ancora una volta, che l’adattamento è l’unico modo per continuare a sopravvivere nel mercato. Anche per trecento anni.

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