Le sfide di una ripresa labour intensive

di Marcello Gualtieri

 

C’è un generale consenso sulle stime che ipotizzano alla fine del 2022 un recupero del Pil al livello pre-pandemia. Ma, come noto, a livello pre-pandemia Pil pil dell’Italia era ampiamente al di sotto di quello del 2007, quindi la ripresa quale semplice rimbalzo non farà altro che riportarci ad un punto di partenza largamente insoddisfacente.

 

I motori della svolta

Da cosa dipenderà l’entità e la durata della prossima auspicabile ripresa economica? Le riforme economiche e organizzative previste del Pnrr (sperando di riuscire finalmente a farle) necessitano di un lungo periodo di implementazione e d’altro canto le risorse in arrivo non sono tali da poter modificare in maniera significativa la tendenza al ristagno dell’economia italiana. Benché sia opinione comune e diffusa che arriveranno risorse come non mai, la realtà è che i fondi messi a disposizione dalla Ue, sotto forma di sussidi e prestiti, con il piano Next Generation nei prossimi cinque anni sono meno dell’importo del nuovo debito pubblico che la Bce acquisterà nel solo 2021.

 

Decisiva la dinamica salariale

Affinché la ripresa non sia un mero rimbalzo occorre che sia una ripresa “labour intensive” cioè una ripresa che oltre ripristinare i valori del Pil pre pandemia, sia anche una ripresa generale non solo dell’occupazione, ma anche della produttività del lavoro e quindi dei salari. I posti di lavoro già persi tra lavoratori autonomi e dipendenti a tempo determinato sono circa un milione; se si sommano i posti di lavoro che saranno persi quando verrà rimosso l’illogico e inutile blocco dei licenziamenti, si stimano circa due milioni di disoccupati in più. Il loro ricollocamento è indispensabile non solo da un punto di vista sociale ed umano, ma anche per spingere la domanda interna.

Nel breve periodo per gestire questa massa di disoccupati, esiste solo la possibilità di coinvolgere le Agenzie per il lavoro private, visto che i Centri per l’impiego sono assolutamente inefficienti come dimostrato dalla disastrosa, ma costosissima esperienza del reddito di cittadinanza e dei fantomatici navigator. Come per la campagna vaccinale bisogna pragmaticamente sostituire la inconcludenza delle manovre delle politiche per il lavoro sin qui adottate, con il know-how e le professionalità delle strutture già esistenti.

 

 

 

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