Gucci, un secolo da diamante del made in Italy

Secondo una ricerca di Kantar, è il brand italiano con il maggior valore economico, ben 33,8 miliardi di dollari. Basta questo per descrivere cosa rappresenta Gucci nel mondo. Una storia imprenditoriale di successo, oggi sotto il controllo del colosso francese del lusso Kering, dopo essere passata attraverso varie traversie familiari.

Della società è tornata a occuparsi di recente la stampa internazionale in vista  dell’uscita del film “House of Gucci” diretto da Ridley Scott, nelle sale il prossimo 24 novembre.

 

LA CULLA FIORENTINA
L’avventura imprenditoriale prende il via nel 1921 a Firenze, patria di Dante e Leonardo da Vinci, la storia di una delle case di moda più famose del mondo. In particolare in via della Vigna Nuova 7, dove Guccio Gucci, in seguito al fallimento della bottega artigianale di cappelli di paglia del padre decise di aprire un negozio di valigie.

L’imprenditore aveva viaggiato per Parigi e Londra (per un certo periodo fece il porta bagagli presso il Savoy Hotel) e in quegli anni iniziò a conoscere gli ambienti borghesi, sviluppando un amore per il lusso e il buongusto. Ad affascinarlo, in particolare, fu l’eleganza dei bagagli degli ospiti. Quando arrivò a Firenze, dove nel frattempo aveva sposato Aida Calvelli, fece tesoro dell’esperienza maturata nel settore della pelletteria a Milano, prima per la valigeria Botto e poi in un negozio dei Franzi, un’altra rinomata azienda di accessori di lusso.

Insieme alla prima bottega, l’imprenditore aprì un piccolo laboratorio in Via del Parione 11 che produceva pelletterie comuni, oltre che articoli da viaggio e selleria per l’equitazione. Mondo che rimarrà, negli anni, un richiamo onnipresente in tutte le creazioni del marchio. La fama arrivò nel 1925, grazie a un modello di sacca da viaggio, e poi negli anni ’30, quando venne introdotta la categoria delle borse a mano e la rete di negozi iniziò a crescere, prima con il debutto a Roma, quindi store a Milano.

 

IL DOPOGUERRA
Alla fine della Seconda guerra mondiale l’azienda vedeva al comando Guccio affiancato dai suoi tre figli: Aldo, Rodolfo (tra i due non è mai corso buon sangue) e Vasco. Quella fu una fase particolarmente florida per il marchio. Nel 1947 venne lanciata sul mercato la famosa Bamboo Bag ispirata a una sella da cavallo: pelle nera, bordeaux o blu, era riconoscibile grazie al suo manico in bambù giapponese, dettaglio povero introdotto per compensare la scarsità di pellame del dopoguerra. Nel 1953 la maison estese la sua offerta anche alle calzature e Aldo Gucci presentò una novità destinata a rimanere un caposaldo dell’offerta del brand: l’iconico mocassino. Erano gli anni dell’espansione, con i tre fratelli impegnati ad accelerarne lo sviluppo internazionale. Una boutique a New York, cui ne seguirono altre sempre nella Grande Mela, poi a Londra, Palm Beach e Parigi. Nel ‘66 Rodolfo Gucci, considerato il bello di famiglia e diventato un celebre attore con il nome di Maurizio d’Ancona, si rivolse a Vittorio Accornero per realizzare Flora, il foulard disegnato per la principessa di Monaco Grace Kelly, e proprio in quegli anni, insieme alla conquista del mercato asiatico e Middle East, il brand iniziò a spopolare tra le star di Hollywood e personaggi famosi dell’epoca come Audrey Hepburn e Jackie Kennedy (a cui è dedicata la famosa Jackie O).

 

TENSIONI FAMILIARI
Alla fine degli anni ’60 Gucci contava già 10 negozi negli stati Uniti tanto che John F. Kennedy definì Aldo Gucci il primo “Italian ambassador to the United States”. Negli anni ’70 iniziarono a emergere le prime tensioni familiari. Paolo, uno dei figli di Aldo, aveva aperto un negozio indipendente usando il brand Gucci; la boutique venne poi inglobata dalla maison e nel 1982 Gucci diventa una società per azioni di cui Rodolfo possedeva il 50%, mentre la restante metà era diviso tra Aldo e i suoi figli. Alla sua morte, nel 1983, il figlio Maurizio inizia una guerra legale contro lo zio Aldo per ottenere il controllo totale del marchio e nel 1986, a 81 anni, Aldo venne condannato a un anno di prigione negli Stati Uniti per evasione fiscale. Nel 1988 il 47,8% della casa di moda venne ceduto al fondo d’investimento Investcorp, che nel 1993 salì al 100% delle azioni. A quel punto, la famiglia toscana era fuori dai giochi. Nella dinastia Gucci, tra le figure più giovani c’è Drusilla Gucci. Giovanissima, appena 26 anni, è la figlia di Stefania e Uberto Gucci, e nipote di Roberto, uno dei tre figli di Aldo. E la pronipote del fondatore Guccio. Amante della moda e attivissima sui suoi canali social, Drusilla ha una laurea in lingue e fa la modella di professione. Ma nonostante faccia parte di una delle famiglie più in vista nel mondo della moda, ha sempre mantenuto un profilo basso sulla sua vita privata.

 

La pagina nera
Galeotto fu un party milanese del 1972. Perché fu in occasione di una festa nel capoluogo lombardo che Maurizio Gucci, dopo la morte del padre Rodolfo a capo del family business (dopo le accuse di evasione fiscale dello zio Aldo lo ha estromesso dalla società), conobbe Patrizia Reggiani. “Presentami la donna che somiglia a Liz Taylor”, aveva detto a un amico comune. Convolò con lei a nozze nel 1973, nonostante l’opposizione del padre, e la coppia ebbe due figlie: Alessandra, nata nel 1977 e Allegra nel 1981. Il 22 maggio del 1985, a distanza di 12 anni di matrimonio, Maurizio lasciò Patrizia per una donna più giovane, Paola Franchi, dicendole che stava partendo per un viaggio d’affari. Iniziò una battaglia legale e nel 1992 Patrizia ottenne il diritto a un assegno annuo da un miliardo di lire.

Tre anni dopo si verificò un fatto che non solo sconvolse per sempre la famiglia Gucci ma segnò per sempre Milano. La mattina del 27 marzo Maurizio, dopo essere uscito dal palazzo di Corso Venezia 38 in cui abitava, e incamminatosi verso la vicina sede di Vierse, società che aveva da poco fondato, fu avvicinato da un killer, che estrasse una pistola calibro 32 e colpì quattro volte, lasciandolo a terra esanime. Patrizia, condannata come mandante a 26 anni di reclusione, è uscita dal carcere nel 2017 dopo averne scontati 17.

 

IL CAMBIO DI ROTTA

Tornando all’azienda, nel 1989 venne assunta Dawn Mello come vice presidente del marchio cui viene affidato il compito di risollevare le sorti (e i conti) dell’azienda. Con la nomina di Tom Ford, nel 1994, come direttore creativo, l’immagine della msion cambiò radicalmente, facendosi portavoce di una donna sicura del suo fascino, quasi provocatoria. Nel 1997 il bilancio della società, seguita da Domenico De Sole, raggiunse i 70 milioni di dollari dai 6 milioni del 1993. Una crescita che attirò prima l’attenzione della conglomerata francese del lusso Lvmh, che nel 1999 arrivò 34% delle azioni di Gucci, poi del gruppo Pinault-Printemps-Redoute, acerrimo nemico di Lvmh. Si innescò una vera e propria guerra tra i due gruppi, culminata con un accordo che portò alla cessione del marchio italiano a Ppr (oggi Kering, che ne fece la punta di diamante del polo del lusso comprendente anche Yves Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Bottega Veneta, Boucheron, Brioni e) Pomellato. Kering è quotata sul mercato Euronext Parigi e fa parte dell’indice delle blue chips CAC 40.

Al timone di Gucci oggi c’è Marco Bizzarri, ex Stella McCartney e Bottega Veneta, mentre la direzione creativa è nelle mani del designer Alessandro Michele.

 

I numeri dell’azienda 

Tra il 2010 e il 2015 Gucci ha aperto 220 negozi, arrivando a un totale di 500, e dal 2011 si è dotata di un proprio museo. Nel 2017 il brand italiano è entrato nel settore dell’arredamento e nel 2019 in quello del beauty.

L’ingresso nel colosso francese ha fatto decollare i conti: le vendite di Gucci sono aumentate del 42% nel 2017, del 33% nel 2018 e di un ulteriore 13% nel 2019, con una forte crescita della domanda da parte dei consumatori cinesi. La pelletteria è il segmento più grande, rappresentando il 57% dei ricavi. Il Giappone e l’Asia-Pacifico hanno rappresentato il 44% delle vendite del marchio lo scorso anno. Complice la pandemia, nel 2020 i ricavi dell’azienda di moda sono diminuiti del 22,7%, a quota 7,4 miliardi di euro, mentre nell’ultimo trimestre, il calo è stato limitato al 10%, a dimostrazione che la situazione si va man mano normalizzando.

 

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