Lbo France punta sull’Italia

Circa 6 miliardi di capitali raccolta e 100 investimenti. Sono i numeri generati in quasi 40 anni di attività da Lbo France, società di investimenti alternativi, che tra gli altri opera anche in Italia tramite la filiale Gioconda. A colloquio con il managing director di quest’ultima Arthur Bernardin.

 

La situazione dei mercati finanziari spinge un numero crescente di investitori, soprattutto tra quelli facoltosi, a puntare sugli investimenti alternativi. Su quali ambiti vi concentrate in particolare?

La nostra strategia ruota attorno a 5 assi di investimento guidati da team dedicati: il private equity mid cap buyout tramite fondi White Knight e small cap buyout tramite fondi Hexagone/Small Caps Opportunities; il venture tramite fondi Sisa/Digital Health; l’immobiliare tramite fondi White Stone e Lapillus; il proptech attraverso il fondo NewStone; infine il debito.

Guardando all’Italia, siamo arrivati circa 10 anni fa, inizialmente tramite una joint venture con Yarpa, durata cinque anni e chiusa dopo quattro operazioni. Nel 2015 abbiamo aperto una filiale per sviluppare il mercato italiano e attualmente operiamo sul territorio tricolore dai nostri uffici di Milano e Roma. Il primo si occupa dell’attività legata alle small cap, mentre il secondo è attivo nel financing delle infrastrutture, in particolare nel settore delle rinnovabili, una linea di business che Lbo France non aveva in Francia e che, pertanto, costituisce un contributo originale della filiale italiana alla piattaforma globale.

Per la strategia small cap, il nostro obiettivo in Italia è realizzare un’operazione all’anno, tramite i fondi dedicati alle Pmi che investono anche in Francia, ed in particolare adesso attraverso il secondo fondo (Small Caps Opportunities II), attualmente in fase di raccolta con un obiettivo di 150 milioni di euro. Le società che attualmente fanno parte del nostro portafoglio, dei veri e propri gioielli nel settore italiano delle Pmi, sono Vetroelite (design e packaging di vetro di alta gamma acquisita a maggio 2017), Bluclad (galvanotecnica per accessori metallici per beni di lusso acquisita a dicembre 2018) e Demas (distributore di farmaci veterinari, acquisita a maggio dello scorso anno).

 

Come sta evolvendo il mercato del private equity?

A livello generale si trova in una fase di maturità. Guardando anche solo a 10 anni fa, si nota come i fondi fossero più generalisti, mentre la tendenza attuale è di assumere un posizionamento specifico, sia sul fronte geografico che per quanto riguarda il settore di attività. Tutti i player hanno interesse a ritagliarsi una specializzazione specifica per cercare di sfruttare al massimo le opportunità che si possono trovare nei singoli segmenti.

La raggiunta maturità dal mercat sta spingendo anche gli investitori professionali ed istituzionali sempre di più verso questa tipologia di investimento. Sicuramente il fatto che si tratti di un’asset class caratterizzata da una minore liquidità rispetto ad altre rappresentava a volte un freno all’ingresso per questa tipologia di investitori; freno che però viene meno una volta compreso a fondo il sistema del private equity. Quest’ultimo, infatti, grazie anche allo sviluppo del mercato secondario, oggi può in parte ovviare all’assenza di liquidità. Inoltre, i rendimenti del private equity sono interessanti e, soprattutto per la diversificazione e bilanciamento del portafoglio, esso rappresenta un’opportunità importante.

Per quanto riguarda invece nello specifico Lbo France, la nostra specializzazione è legata soprattutto alla nostra visione internazionale già ben presente nel dna della nostra casa madre. In Italia, puntiamo ad affiancare le aziende che riteniamo interessanti nel loro sviluppo internazionale, anche perché sappiamo che per i piccoli e medi imprenditori è ancora complesso sbarcare sul mercato globale, anche se un mancato approdo internazionale può far perdere importanti opportunità di crescita.

 

 

Quali sono le nuove tendenze quanto a tipologia di operazioni, durate degli investimenti e/o altro?

 

Fino a 10/15 anni fa c’era la capacità di compiere transazioni con una leva finanziaria più significativa, effettuando operazioni non intermediate a un prezzo meno importante. Adesso questa situazione è cambiata, l’orizzonte temporale per creare valore è aumentato decisamente, dagli iniziali 2/3 anni agli attuali 4/5 anni. In LBO France puntiamo ad aiutare le Pmi nel loro sviluppo lungo questo periodo di 4/5 anni, sia sul fronte della crescita organica (in termini di fatturato e di EBITDA), operativa e di processo, sia attraverso operazioni per linee esterne sui componenti aggiuntivi. A prescindere che si tratti di una crescita per linee esterne o interne, puntiamo ad acquisire piccole realtà in grado, potenzialmente, di diventare leader nel loro settore.

 

Su quali target puntate a livello merceologico e di tipologia delle aziende?

Non abbiamo limiti a livello settoriale, ma guardiamo piuttosto alla volontà del management di aprirsi a livello globale. Il target è più legato alla dimensione aziendale, in quanto la nostra attività avviene solo ed esclusivamente sulle small cap che per noi significa un enterprise value compreso fra 25 e 80 milioni. Abbiamo scelto quest’ambito perché è quello in cui possiamo incidere di più nel miglioramento della parte operativa della società per accompagnarla nel suo percorso verso la leadership nel settore di appartenenza. La nostra capacità di creare valore, di incidere sul business model di una società, si può esprimere al massimo in questo comparto.

Ritengo quello delle Pmi un ambito particolarmente consigliato per gli investitori, nell’ottica di avere un portafoglio bilanciato e ben diversificato nel rischio. L’universo delle small cap è in grado di fornire rendimenti elevati con una concorrenza limitata all’entrata, una vasta gamma di aziende interessanti e molte opportunità di creazione di valore.

 

Come il private equity entra nei portafogli del private banking?

L’ingresso avviene attraverso una selezione di fondi da parte delle strutture di private banking per i propri clienti o attraverso contatti commerciali diretti tra fondo e investitore. Poi c’è il mondo delle reti di consulenza che, con approcci differenti, guarda sempre più ai private asset.  Le ricerche più recenti, mostrano che l’appetito da parte del private banking per il mondo del private equity è innegabile. Un rapporto recentemente pubblicato da Aipb rivela come la richiesta di prodotti illiquidi per investire in economia reale sia la principale priorità espressa dai private banker italiani, seconda solo all’integrazione dei criteri Esg nella selezione dei prodotti.

 

 

 

 

 

 

 

 

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