Pictet torna alla tradizione?

“L’esperimento non è riuscito”. L’addio di Boris Collardi (nella foto) a Pictet viene commentata così dalla maggior parte degli analisti.

Il suo arrivo nel 2018 aveva destato scalpore, considerato che la private bank elvetica è da sempre abituata a scegliere come partner professionisti che si sono formati al suo interno, mentre Collardi arrivava da anni alla guida della concorrente Julius Baer. In occasione del suo addio è stato ricordato che nel 2020 il manager è finito sotto i riflettori della Finma (la Consob svizzera), in merito a un’inchiesta su violazioni della normativa antiriciclaggio tra il 2009 e il 2018, conclusasi con un richiamo ufficiale nei suoi confronti per cattiva condotta.

In realtà, però, si riflette sul mercato, se fosse stata quella la ragione dell’addio, la decisione sarebbe arrivata già da tempo. Piuttosto voci di corridoio accreditano come causa principale lo “scontro ideologico” con la vecchia guardia. Il private banking è un mondo in cui la tradizione prevale sull’innovazione e questo è ancor più vero per Pictet, che pure tre anni fa sembrava voler imboccare una strada nuova aprendosi a un “papa straniero” come Collardi.

Il manager svizzero era stato chiamato dal partner di lunga data di Pictet, Remy Best, per supervisionare la grande spinta della banca in Asia, a sua volta una rottura con la sua tradizionale base di clienti europea. Molto più giovane ed estroverso degli altri partner, un cattolico tra i calvinisti, Collardi ha sempre agito seguendo più l’istinto che il presidio dei rischi. Ha assunto un centinaio di private banker nei primi due anni e si è spinto in nuove arene di investimento.

Una rivoluzione che ha creato non poche tensioni con i partner più senior di Pictet. Ora resta da capire che ne sarà della nuova linea manageriale assunta dallo stesso Collardi.

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