Corte (Banca Ceresio): “Torna la mobilità dei capitali”

La selezione degli operatori è destinata a proseguire, con due modelli di business destinati a resistere meglio di altri: i grandi operatori che hanno risorse per investire nell’innovazione e le boutique in grado di offrire un servizio “sartoriale”. Mentre la domanda di consulenza è destinata a diventare sempre più complessa, a fronte di mercati che offrono ancora potenziale di rendimento, ma a patto di uscire dai recinti tradizionali. Sono alcuni dei concetti espressi in questa intervista da un grande conoscitore del private banking come Gabriele Corte, direttore generale di Banca del Ceresio, istituto elvetico (sede principale a Lugano) di proprietà della famiglia Foglia, specializzato nei servizi di gestione patrimoniale, oltre che nella consulenza ad aziende ed imprenditori.

 

Da anni alcune ricerche internazionali segnalano la crescente pressione sui margini nel private banking, eppure sul mercato continuano ad affacciarsi nuove offerte. Come si spiega questa tendenza?

Il private banking ha tra i suoi punti di forza un minore assorbimento di capitale e una maggior costanza dei ricavi rispetto ad altri business bancari come l’investment banking (molto volatile) e il segmento del credito (che necessita di fondi propri importanti). È vero che l’offerta è vivace, ma nel corso degli ultimi anni il numero degli operatori attivi si è ridotto a causa

della selettività della domanda, della non omogenea distribuzione di competenze reali tra gli operatori e della crescente necessità di capitale, soprattutto per far fronte ad accresciute esigenze normative e informatiche. Dunque, anche il

private banking, inizia a dare qualche preoccupazione, in particolare a chi lo ha vissuto più come valida alternativa per incrementare la redditività del capitale, che non come reale scelta strategica.

 

Ritiene che anche l’anno da poco iniziato proseguirà su questo sentiero?

Penso proprio di sì, data anche la situazione particolare che ci troviamo a vivere, stretta tra limitazioni pandemiche, tassi negativi ed economie in cerca di una direzione. A mio avviso, sempre più sul mercato si affermeranno due modelli di business: i grandi operatori nazionali e internazionali che continueranno a crescere, ma in maniera sempre più asintotica per chi domina uno o pochi mercati; le boutique specializzate, talvolta non costituite come intermediari finanziari, che per numero contenuto di servizi offerti, limitate geografie coperte e omogeneità della clientela, possono non essere obbligate ad una crescita “ad ogni prezzo”. I modelli implementati sono radicalmente differenti, quasi puramente distributivo per i primi, totalmente consulenziale per i secondi. Per i grandi operatori sarà sempre più radicale lo sviluppo di un modello di business basato sulla distribuzione di prodotti, il più possibile standardizzati, allo stato attuale unico modello ritenuto valido per gestire la crescente complessità organizzativa. Il mondo dei piccoli operatori specializzati sarà sempre più sartoriale, abbracciando i propri clienti su nuovi versanti del proprio patrimonio, ad esempio introducendo modelli di consolidamento patrimoniale, gestione dei rischi di portafogli complessi, investimenti in segmenti illiquidi.

 

Dato lo scenario, i pesi medi – che almeno in Italia occupano una fetta consistente del mercato – rischiano di essere schiacciati.

A soffrire saranno sempre più gli operatori universali di piccola e media dimensione, tipicamente banche, che vivono il private banking come uno dei vari servizi offerti, anche se tra quelli privilegiati. Difficilmente riusciranno a trovare livelli d’efficienza tali da contrastare i grandi operatori, né competenze specifiche tali da poter far la differenza con chi in tale ambito si è specializzato. In questi casi saranno sempre più necessarie nuove visioni strategiche, che mettano a fattor comune l’ecletticità dell’offerta, ovvero sappiano trovare forme di cooperazione tra simili o con soggetti specializzati.

 

Quali novità attendersi, invece, dal lato della domanda?

E’probabile che assisteremo a una ripresa della mobilità internazionale dei capitali, chiaramente frenata dal contesto di pandemia globale. Penso soprattutto all’attrattività di contesti nazionali che sappiano offrire vantaggi concreti a investitori internazionali, che vanno dalla sicurezza personale, alla stabilità giuridica, dal contesto ambientale a quello fiscale. L’Italia avrà da dire la sua in questo ambito, anche grazie ai pacchetti fiscali offerti a globalisti o a “cervelli” prodighi.

A livello di investimenti c’è da attendersi una crescente diversificazione della quota azionaria, anche per far fronte a un probabile ritorno di volatilità elevate. Potremmo quindi vedere sia un accresciuto interesse verso gestori veramente attivi, a scapito delle gestioni passive non adatte a smorzare la volatilità dei mercati, sia un ampliamento degli investimenti azionari (o obbligazionari) illiquidi, come ulteriore forma di diversificazione complessiva.

 

Come vi muoverete all’interno dello scenario che ha descritto

Per quanto concerne Ceresio Investors, che comprende le entità italiane e inglesi detenute dalla svizzera Banca del Ceresio, l’approccio continuerà a essere,come dalle sue origini oltre 100 anni fa, quello tipico dei family office, in grado di affiancare la clientela non solo nei processi d’investimento, ma anche nel consolidamento e nella gestione complessiva dei rischi legati a patrimoni complessi. Il modello di business è quello tipico di una boutique, nonostante una dimensione non irrilevante, con asset in gestione per 10 miliardi di franchi svizzeri e 160 collaboratori, in crescita. Il nostro approccio è di co-investire, fedeli alla convinzione che il miglior modello di risk management sia l’allineamento di interessi tra clienti, azionisti e management di una banca. Come Family Office, storicamente abbiamo gestito numerosi passaggi generazionali, non soltanto quelli legati al nostro azionista: ecco perché, nel corso degli anni, abbiamo affiancato al mondo degli imprenditori un team specializzato in operazioni societarie, capace di seguirli nelle delicate fasi della finanza straordinaria d’impresa, oltre che di proporre operazioni d’investimento di private equity o debt.

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