Ephelia punta sull’ecosistema del wealth management

Portafogli innovativi dal cuore italiano

Una piattaforma di tokenizzazione di asset alternativi, servizi di wealt management e fintech per banche. Il gruppo Ephelia, fondato da Franco Mignemi, è tutto questo. E ora punta sulle criptovalute

 

“Sviluppo, amministrazione, crescita e protezione degli asset dei nostri clienti sono l’ecosistema in cui operiamo ogni giorno”. Sono queste le parole che descrivono, sul sito istituzionale, il business di Ephelia Global Services Ltd, società londinese attiva nei servizi di gestione e protezione patrimoniale, con sede in cinque giurisdizioni, nata nel 2020 per volontà di Franco Mignemi, manager di lungo corso a livello internazionale.

 

L’era dei token

La società si sta concentrando su investimenti in startup tech e fintech, convogliati sotto il controllo di Ephelia Capital, investment bank di diritto svizzero, parte della casa madre britannica. Inoltre ha da poco lanciato Elviria, piattaforma di tokenizzazione di asset alternativi internazionali, mentre sul tavolo sono aperti diversi nuovi dossier. Mignemi è un imprenditore con al suo attivo diversi investimenti nel mondo fintech e con una esperienza ventennale in ambito di asset protection, noto per essere stato cofounder nel 2015, insieme al socio Calors Sanchez, di Orwell Holdings Ltd, antesignana piattaforma londinese di sviluppo di infrastrutture di pagamento per banche che, come proof-of-concept, aveva lanciato la fintech Ipagoo. Mignemi era poi uscito dal capitale di Orwell nel 2018 a seguito dell’acquisto della quota di controllo da parte di una holding di investimento israeliana e prima che nel luglio 2019 Ipagoo fosse commissariata dalla Fca britannica per irregolarità riscontrate in un’altra partecipata degli israeliani. Ipagoo è stata poi acquisita da Chairmans Financial, società di venture capital britannica dedicata al mondo fintech. Il gruppo oggi ha sedi (tutte operative a seconda del servizio) tra Londra, Milano, Lussemburgo, Hong Kong, Lugano e New York, Auckland. Ne parliamo con lo stesso Mignemi.

 

Ci spiega il business del gruppo Ephelia?

Oltre a fare asset protection, ovvero trust, abbiamo un modello ibrido al quale si aggiungono servizi di private banking, gestione portafogli, servizi bancari, servizi fintech, wealth management attraverso società regolamentate e autorizzate. La gestione patrimoniale è basata in Svizzera, quella dei pagamenti è sparsa tra le nostre sedi nel mondo. Abbiamo due linee operative: la prima è la capital conservation dedicata ai trust dove, anziché riferirci a asset manager o banche esterne, abbiamo una gestione in house dove siamo sicuri di proteggere il cliente. La seconda è fatta da un servizio innovativo sull’economia reale attraverso strumenti evoluti di private equity e venture capital.

 

Chi sono i vostri clienti?

Family office, imprenditori, istituti di credito. Una parte del gruppo, infatti, fa servizi tecnologici per le istituzioni finanziarie tipo piattaforme di rischio, di pagamento, di emissione carte prepagate, compliance, antimoney laudering, servizi per la clientela private.

 

Da un anno fornite un servizio sulle criptovalute. Ci spiega?

Il nostro servizio di gestione su criptovalute non differisce molto dal mondo del private equity nel senso che anche nelle monete virtuali c’è una parte di macroeconomia che ci costringe a studiare chi c’è dietro alla loro produzione. Facciamo quindi dei portafogli di strategie buy and hold dedicate a progetti imprenditoriali e investiamo anche in bitcoin. Ma non facciamo trading sulla criptovalute. Sono progetti molto interessanti che cambieranno le regole del gioco della finanza. Non andiamo comunque mai oltre il 5% di esposizione perché resta un investimento ad alto rischio.

 

Quanti siete e che tipo di competenze avete?

Io sono laureato in economia e commercio ma la maggior parte di chi lavora in Ephelia è fatta da ingegneri. Siamo 40 persone a cui se ne aggiungono 26 sulla tecnologia informatica. Il 70% dell’organico è basato a Londra, a Milano ci sono per esempio quattro persone: un direttore focalizzato su gestione del rischio, un trustee, un office manager e un sale. Il modello è replicato anche negli altri uffici. Sfruttiamo la tecnologia per centralizzare i servizi.

 

Parliamo un po’ di lei. Qual è il suo percorso?

Ho cominciato nel marketing strategico per la grande distribuzione presso l’azienda di famiglia (Demimarketing, ndr), poi ho deciso di trasferirmi a Londra, dove ho cominciato a lavorare come imprenditore fondando Italian Services. All’epoca mi ero reso conto che c’erano molti imprenditori che avevano bisogno di servizi di corporate & trust e di aiuto nel processo di internazionalizzazione, e quindi il mio servizio innovativo è andato bene fin da subito tanto da essere riuscito ad ampliare il business a clienti globali e non solo italiani. A questo punto mi sono trovato ad aver creato ricchezza e questa andava gestita. Così ho cominciato con il trust. Poi, con altri colleghi abbiamo fondato Orwell per la gestione dei grandi patrimoni e per lo sviluppo di infrastrutture di pagamento per le banche. In quel periodo abbiamo anche aperto un fondo per la gestione delle valute e creato una società fintech, poi è arrivata la licenza bancaria e sono rimasto in Orwell fino al 2018. In quell’anno ho venduto l’intero gruppo perché mi è arrivata un’offerta importante. Il mondo stava cambiando pesantemente e noi avremmo dovuto investire cifre importanti per reinventarci così ho preferito uscire. Per due anni ho avuto un contratto di non competition agreement e nel 2020 ho rifondato una società simile alla precedente ma più innovativa. Oggi il mio mestiere, accanto a quella tradizionale, è molto orientato alla parte tecnologica.

 

Quali sono i progetti futuri della società?

Abbiamo creato piattaforme che saranno lanciate a breve in piena sinergia operativa alla protezione del patrimonio. Parallelamente Sto acquisendo tutte le attività trust di una importante banca europea e questo darà una grossa spinta al gruppo dal punto di vista dei servizi ma non posso fare nomi.

 

Assume?

Sì, continuo ad assumere nella parte It, soprattutto ingegneri.

 

Di chi è Ephelia?

È mia al 100%.

 

Come mai questo nome?

La storia è semplice. Quando ho concretizzato nella mia testa la costituzione della società ero in un resort alle Seychelles che si chiamava Ephelia.

Quali sono i numeri?

Siamo appena partiti. Comunque oggi contiamo su mezzo miliardo di euro e gestiamo circa 50 trust. La crescita sta andando molto bene ma siamo ancora in una fase di sviluppo del business. Stiamo lanciando la parte di pagamenti e listing.

 

Quali sono le sue peculiarità?

Sono veloce nel prendere le decisioni. In un anno ho aperto Hong Kong, Milano, New York, Auckland, Lux. Quando sai fare un esercizio lo puoi anche subito replicare. Mi innamoro delle persone, capisco abbastanza bene chi ho davanti e, pur avendo fatto degli errori, sono cresciuto perché mi hanno insegnato delle cose. Quello di oggi è un mondo complicato. Penso che ci sia un grande cambio di paradigma che premia chi propone innovazione e vede le cose da un’altra prospettiva. Io cerco nuove strategie e studio molto.

 

Dove vive?

Ho vissuto a Londra 17 anni e ora mi sono trasferito in Svizzera a Lugano.

 

Passioni?

Lo sport per me è la base di tutto: sono maestro di sci e istruttore di equitazione e vado in mountain bike.

 

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