Investimenti, obbligazioni: la view di Ubs WM

«Nell’ultimo mese abbiamo chiuso il sottopeso sulle obbligazioni investment grade e sui titoli di Stato con rating elevato che ci aveva accompagnato per molto tempo».  Ad affermarlo è Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS WM in Italia, che di seguito illustra nel dettaglio leragioni del posizionamento.

Veniamo da oltre un decennio caratterizzato da politiche monetarie espansive e, fino a circa un anno fa, bassa inflazione. Per sostenere l’economia e facilitare il finanziamento del debito pubblico, i tassi d’interesse sono stati per molto tempo vicini allo zero e addirittura negativi nella zona euro e in altre aree economiche.

Soprattutto negli Stati Uniti, più volte si è provato a uscire da queste politiche – per esempio nel periodo 2015-2018 – senza però riuscirci. Poi è arrivato il COVID e ha richiesto importanti stimoli fiscali che i governi hanno finanziato con nuovo debito, mentre le banche centrali varavano nuove emissioni di liquidità.

L’Italia ha beneficiato poco dei bassi tassi d’interesse perché l’elevato spread rispetto al Bund ha tenuto quasi sempre alti i tassi di finanziamento, ma in gran parte delle economie avanzate si è assistito per oltre un decennio a forti aumenti dei prezzi degli immobili e a un periodo florido per i costruttori. In molti ambiti economici e finanziari, fino a qualche mese fa i rendimenti erano estremamente bassi e c’era un incentivo a indebitarsi per finanziare nuovi investimenti con rendimenti anche marginalmente superiori ai costi di finanziamento.

In effetti, la forte crescita del PIL dopo la pandemia e l’elevata inflazione (che contribuisce al PIL nominale, ossia il denominatore dei principali indici di indebitamento in macroeconomia) hanno consentito di ridurre l’indebitamento nel 2021. Ma quest’anno l’ulteriore aumento dell’inflazione, che ha superato le aspettative degli economisti, sta spingendo le banche centrali a tirare le redini, proprio mentre l’economia frena per via della guerra in Ucraina, delle sanzioni nei confronti della Russia e dei lockdown in Cina.

Se facciamo riferimento all’intero sistema economico, includendo quindi pubblico e privato, il debito della zona euro ha raggiunto i 49 mila miliardi di euro alla fine dello scorso anno ovvero il 399% del PIL, circa 19 punti percentuali in più rispetto al pre-COVID. Un dato che sorprende spesso gli investitori, italiani e internazionali, è che l’Italia ha il secondo debito più basso  (322%), inferiore anche alla Germania, ancorché concentrato principalmente sulle spalle dello Stato.

Gran parte dell’incremento del debito viene proprio dai governi che, dovendo far fronte alla crisi e proteggere le famiglie, hanno emesso una maggiore quantità di titoli approfittando della liquidità e dei bassi rendimenti messi a disposizione dalle banche centrali. Il settore pubblico, complessivamente, presenta un indebitamento pari al 112% del PIL secondo Eurostat, mentre in Italia supera il 150%.

A dispetto del rigore richiesto dall’Unione Europea e dall’austerity dello scorso decennio, il debito pubblico della zona euro è cresciuto costantemente dal 2008 in poi, cumulativamente di 46 punti percentuali. È lecito domandarsi se queste politiche abbiano avuto successo o meno: l’esperienza del Recovery fund (debito comune per finanziare investimenti virtuosi) farebbe pensare a un cambio di strategia, anche se questa non è stata replicata per far fronte alle nuove emergenze, a partire dalla transizione energetica.

Gran parte degli economisti si attende una normalizzazione delle politiche monetarie e una rapida uscita dai tassi negativi. La sostenibilità del debito sarà un argomento sempre più centrale; anche perché la guerra in Ucraina e le sanzioni nei confronti della Russia rendono più complesso ridurre l’indebitamento per via dell’effetto negativo sul PIL e delle maggiori spese varate nel campo della difesa, dell’energia e degli aiuti ai rifugiati.

Va comunque detto che in questi anni gli emittenti sovrani hanno allungato le scadenze medie del loro debito per ridurre l’impatto di eventuali rialzi dei tassi. Anche nel caso dell’Italia, la traiettoria di rientro del debito pubblico è messa in discussione più dall’andamento economico che dallo spread.

Anche le imprese hanno aumentato l’indebitamento durante la pandemia, di ben 7 punti percentuali, portandolo a un livello simile a quello dei governi (112% rispetto al PIL). In questo comparto, l’Italia presenta un livello di debito inferiore, ben sotto il 100% del PIL. Tuttavia, il rapido aumento dello spread tra BTP e Bund, come in passato, incide sui costi di finanziamento delle banche e, nel giro di pochi mesi, ricade quindi anche sulle imprese, erodendo la redditività e frenando i nuovi investimenti.

I tassi di insolvenza rimangono molto bassi e non sembrano esserci particolari tensioni al momento, anche se la Banca centrale europea (BCE) da tempo ha messo in guardia circa l’impatto della pandemia sulla qualità del credito a scoppio ritardato.

Il debito delle famiglie è rimasto invece pressoché stabile al 60% del PIL. In gran parte è costituito da mutui che sono prevalentemente a tasso fisso, quindi l’aumento dei rendimenti non ha un impatto significativo sulle famiglie. C’è comunque un impatto indiretto: se stipulare nuovi mutui diviene più oneroso, potrebbe rallentare l’attività immobiliare.

Anche in questo caso, l’Italia presenta un indebitamento molto inferiore, che si aggira poco sopra il 40% del PIL. Potrebbe invece emergere qualche eccesso in alcuni Paesi dove il sistema bancario ha distribuito mutui più speculativi, per esempio che non prevedono una pianificazione per il rimborso del capitale.

I mercati obbligazionari hanno reagito rapidamente alle nuove minacce per l’economia, guerra e lockdown, e gli spread sugli emittenti investment grade  e high yield sono aumentati visibilmente. Ad aprile questi segmenti hanno registrato la correzione più significativa da marzo 2020.

Le obbligazioni con rendimenti negativi sono ormai rarefatte e si inizia a intravedere qualche opportunità. Nell’ultimo mese abbiamo chiuso il sottopeso sulle obbligazioni investment grade e sui titoli di Stato con rating elevato che ci aveva accompagnato per molto tempo.

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