Asset allocation: Ubs WM Italy boccia le criptovalute

«Al dunque, le criptovalute non hanno offerto un beneficio in termini di diversificazione e difesa dall’inflazione». Ad affermarlo è Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer UBS WM Italy, che di seguito illustra la view nel dettaglio.

La correzione dei mercati finanziari di quest’anno non ha risparmiato nemmeno un’area controversa come le criptovalute: il Bitcoin, la più affermata, ha perso un terzo del proprio valore da inizio 2022 e circa la metà rispetto ai massimi dello scorso anno. Altre criptomonete meno diffuse hanno registrato crolli ancora peggiori. Coinbase, una piattaforma americana per lo scambio di criptovalute, ha perso oltre il 70% del proprio valore da inizio anno.

Se le criptovalute fossero effettivamente valute tradizionali si parlerebbe di iperinflazione. In effetti, non sembrano rivestire il ruolo di una vera valuta se si prendono come riferimento l’utilizzo diffuso per l’acquisto di beni e servizi o la stabilità intesa come riserva di valore.

Le critiche a questo mondo non sono mai mancate: già nel 2018 il celebre investitore Warren Buffett, presidente di Berkshire Hathaway, aveva suggerito che «avrebbero fatto una brutta fine». Lo scorso anno la Cina ne ha vietato il trading nonostante il suo impegno nel campo del blockchain, la tecnologia che ne è alla base.

Più di recente Christine Lagarde, Presidente della Banca centrale europea, ha suggerito come le criptovalute siano «prive di valore» e ha sollecitato i regolatori globali a supervisionare quest’area per proteggere gli investitori. In effetti, poiché questi asset controversi non hanno corso legale, le banche centrali non hanno messo in campo una supervisione su questi strumenti e sugli operatori che offrono servizi di custodia o di scambio, che non hanno quindi dovuto ottenere licenza bancaria per poter operare.

Certamente questo crollo ha messo in discussione alcune argomentazioni degli investitori nei confronti di questa particolare asset class. Il primo assunto è che offrano maggiore diversificazione rispetto ad altri investimenti come, ad esempio, il mercato azionario. Effettivamente questo beneficio non si è materializzato nell’attuale fase turbolenta dei mercati finanziari.

Una seconda argomentazione riguarda la presunta natura di «oro digitale» che offrirebbe protezione in caso di inflazione. In particolar modo i sostenitori puntano il dito contro le ingenti immissioni di liquidità delle banche centrali nell’ultimo decennio rispetto al numero limitato di unità proposto da alcune criptovalute. Anche questa ipotesi non ha retto la prova di un contesto di inflazione in aumento.

Per queste ragioni, continuiamo a considerare le criptovalute come strumenti altamente speculativi che non dovrebbero far parte delle asset allocation strategiche degli investitori.

Ciò non significa che non ci siano elementi interessanti nella tecnologia sottostante, soprattutto nel caso del blockchain, che può essere applicato in molti settori, dalla farmaceutica al lusso. Queste tecnologie si basano sulla registrazione simultanea di operazioni su molteplici terminali per garantire la sicurezza in assenza di un sistema centralizzato. Il limite di questa tecnologia è l’elevato consumo di energia, che la rende quindi meno vantaggiosa per il sistema dei pagamenti che deve gestire una massa enorme di operazioni.

Alla luce della rapida svalutazione delle criptovalute occorre chiedersi se questo fenomeno possa avere effetti economici. In effetti, la storia insegna che quando si forma una bolla si registrano ingenti trasferimenti di valore. Chi ha venduto il Bitcoin a 70mila dollari oggi ha a disposizione una valuta che ha valore economico, il dollaro. Il compratore invece registra una perdita significativa ai prezzi attuali.

Se si registrano perdite di valore diffuse, come in occasione di un crollo della borsa, ci sono ricadute economiche sia per questioni pratiche, perché alcuni investitori potrebbero aver fatto affidamento su valori maggiori per finanziare il proprio stile di vita, sia per una questione di fiducia nell’economia: se questa manca aumenta la propensione al risparmio e diminuiscono i consumi, una componente fondamentale del PIL.

Ma le criptovalute non sono ampiamente diffuse: tutto sommato sono detenute da un numero limitato di persone che controllano il mercato e, probabilmente, hanno un atteggiamento speculativo che le rende meno sensibili alle perdite. Per questo non ci aspettiamo impatti economici significativi dalla correzione delle criptovalute.

 

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