Patti di non concorrenza, passi in avanti della Giurisprudenza

Jacopo Moretti, Trifirò & Partners Avvocati

Quando si reclutano nuovi relationship manager, è frequente imbattersi in patti di non concorrenza e di stabilità, “croce e delizia” per il settore del wealth managament. Infatti, visti dalla prospettiva dei professionisti, tali patti rappresentano una pesante zavorra, mentre per le banche un efficace strumento di difesa e di retention.

 

Blindare gli organici

Le banche, peraltro, vi ricorrono sempre di più per blindare le proprie strutture, confortate anche dalle pronunce favorevoli dei giudici del lavoro, che tendono a confermare la validità dei patti di concorrenza e di stabilità.

Si segnalano, tuttavia, due recenti ordinanze della Corte di Cassazione, pronunciate proprio in contenziosi tra Banche e loro ex relationship manager, che sparigliano le carte in tavola.

Con ordinanza n. 4032 del 8 febbraio 2022 la Corte di Cassazione ha dichiarato nullo, per contrasto con norme imperative, un patto di non concorrenza contenente una clausola che attribuiva al datore di lavoro la facoltà unilaterale di recedere dal patto stesso in corso di rapporto di lavoro, facendo altresì venire meno l’obbligo del datore di pagare il corrispettivo del patto. Secondo la Corte di Cassazione, poiché il patto di non concorrenza impedisce al lavoratore di progettare il proprio futuro lavorativo e comprime la sua libertà, il lavoratore, a partire dal momento stesso in cui il patto viene stipulato, deve avere la certezza di essere vincolato dal patto e di ricevere il corrispettivo. Tale certezza viene elusa se il datore di lavoro può liberarsi a proprio arbitrio dal patto di non concorrenza, che risulta, per tale ragione, nullo.

 

Penale illegittima

Con ordinanza n. 24478 del 10 settembre 2021 la Corte di Cassazione ha, altresì, dichiarato nullo per frode alla legge un patto di stabilità, inserito all’interno di un contratto di agenzia, che prevedeva a carico dell’agente, in aggiunta al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso, una rilevante penale economica in caso di recesso senza giusta causa da parte dell’agente prima di una certa data. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la penale, anche considerato il suo rilevantissimo importo, incidesse in maniera significativa sulla normale facoltà di recedere di una sola delle parti, limitandola fortemente, ed eludendo, per tale via, il principio imperativo della parità delle parti medesime nella materia del recesso.

Trattandosi di pronunce recenti, è ancora prematuro stabilire se e in che modo queste ordinanze influenzeranno le decisioni future dei giudici del lavoro, ma sono certamente destinate a riaccendere il dibattito nelle aule di giustizia e tra gli operatori, economici e giuridici, del settore.

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