La dinasty dei Percassi dall’imprenditoria al calcio

Stefano Fossati

 

La storia, anche quella degli imprenditori, si racconta anche con le immagini. E nel caso di Antonio Percassi, fondatore di un vero e proprio impero nel settore del retail, l’immagine da cui partiamo è… una figurina del mitico album Calciatori Panini. Sì, perché le prime esperienze professionali del giovane Percassi furono nelle fila dell’Atalanta, la “sua” Atalanta, ai cui destini legherà il proprio nome a più riprese nel corso degli anni. Fisico prestante, una passione per il calcio sviluppata sui campetti di Clusone, fra le montagne della Val Seriana dove nacque nel 1953, ultimo di sei figli; il padre, come molti nelle valli bergamasche, aveva una piccola impresa edile. Alla fine degli anni ’60 approdò alle giovanili dei nerazzurri bergamaschi e nel 1970, non ancora diciottenne, debuttò in prima squadra, giusto per festeggiare la promozione in Serie A. Il suo posto era in difesa, non un fuoriclasse ma un onesto lavoratore delle retrovie. Dalla stagione 1972-73 entrò stabilmente per sette anni nell’organico degli orobici fino al trasferimento al Cesena. Coi romagnoli giocò solo due partite: Antonio Percassi aveva ormai capito che il suo futuro non sarebbe stato sui campi di calcio.

 

L’incontro della svolta

Già coinvolto nell’azienda paterna, in tasca un diploma da geometra, imparò in fretta (a volte a sue spese) come girano gli affari nel settore immobiliare. Fino all’incontro che lo avrebbe portato ad appendere definitivamente gli scarpini al chiodo: quello con Luciano Benetton, nel 1975, quando ancora Percassi militava nell’Atalanta. “Finito l’allenamento non avevo altro da fare e diventavo matto”, raccontò qualche tempo fa in un’intervista a Repubblica. “Al sabato quando eravamo in ritiro in trasferta, invece di andare al cinema con i compagni chiedevo il permesso di fare un giro in centro per vedere i negozi, capire quali andavano per la maggiore. Quelli Benetton erano sempre pieni. Così presi il coraggio e telefonai, mi rispose Luisa Leone, la segretaria. La feci ridere dicendo: sono un giocatore dell’Atalanta che vuole smettere, avrei bisogno di parlare anche solo cinque minuti col signor Luciano”. L’anno successivo, salutati per sempre il Cesena e il calcio giocato, aprì il primo negozio monomarca Benetton a Bergamo.

 

L’internazionalizzazione

Fu l’inizio di un sodalizio trentennale che portò Percassi ad aprire e gestire numerosi store in giro per il mondo, sotto le insegne United Colors of Benetton, Zerododici, Sisley e Playlife. Percassi era allo stesso tempo agente per Benetton nel sud-est degli Stati Uniti e titolare di una serie di controllate con cui aprì franchising per il gruppo veneto in Russia, Libia, Messico, Brasile e India. Sotto sotto, però, restava la passione per il pallone e per l’Atalanta. E infatti nel 1990 fece il suo grande ritorno, non più come difensore bensì come proprietario e presidente. E lasciò il segno, grazie anche all’ingaggio di Mino Favini, fra i migliori talent scout della storia del calcio italiano, che a Bergamo costruì uno dei migliori settori giovanili d’Europa. Pur senza incamerare trofei, la squadra ben figurò in Serie A e si fece notare in Coppa Uefa nella stagione 1990-91. Ma nel 1994 arrivò la retrocessione in B e Percassi, deluso, vendette la società a Ivan Ruggeri. Anche se sarebbe stata una separazione solo temporanea.

 

Partnership con Inditex

D’altra parte, il business con i Benetton viaggiava a gonfie vele. Al punto che il loro grande concorrente, il galiziano Amancio Ortega, patron del colosso Inditex, si affidò proprio all’immobiliarista bergamasco per lo sbarco in Italia di Zara, nel 2001, con l’apertura del primo megastore a Milano, in corso Vittorio Emanuele. La partnership con Inditex proseguì fino al 2006, cinque anni in cui le insegne del gruppo (Zara ma anche Zara Home, Massimo Dutti, Oysho, Pull and Bear, Bershka, Stradivarius) spuntarono come funghi, con 120 negozi, nelle strade delle città dello Stivale. Sarà stata l’esperienza da difensore sui campi di calcio, quando doveva anticipare le mosse degli avversari, fatto sta che anche nell’immobiliare retail Percassi fiutava i trend e sapeva cogliere le esigenze dei partner meglio, o quantomeno più velocemente, di molti concorrenti: comprava e vendeva spazi commerciali, inaugurava e spostava store nelle città di mezzo mondo. Alla sua porta iniziarono a fare la fila i grandi brand globali del fashion, consumer o luxury che sia, desiderosi di piazzare le proprie insegne nelle più importanti strade dello shopping: da Swatch a Ferrari, da Ralph Lauren a Victoria’s Secret, da Nike a Levi’s, da Gucci a Tommy Hilfiger.

 

Marchio proprio

Intanto l’ex outisider dell’immobiliare commerciale dimostrò di sapere anche fare tutto in casa: nel 1997 creò il proprio marchio Kiko Milano, protagonista negli anni successivi di una vertiginosa crescita su scala europea imponendosi nel settore della cosmetica “low cost ma non cheap”, dieci anni dopo lanciava il marchio di abbigliamento Billionaire Italian Couture in società con Flavio Briatore.

Nelle mani di Percassi sono transitate pure intere catene retail più o meno storiche in cerca di rilancio (Goggi Sport) o di una dignitosa eutanasia (Vergelio). Così come il licensing per l’Italia della catena di ristorazione giapponese Wagamama e di altre insegne del food & beverage, prima che il 60 per cento della relativa divisione fosse ceduto a Chef Express nel 2018. Briciole, rispetto al business dei grandi shopping mall: i suoi Oriocenter, Antegnate Shopping Center e gli outlet Village in Franciacorta, Valdichiana, Sicilia, Torino e Roma attirano interi voli charter e pullman stracarichi di consumatori dall’Italia e dal resto d’Europa, dal Medio Oriente, dal Far East e anche dagli States (senza contare la Russia, prima dei missili di Putin sull’Ucraina). Tutti smaniosi di svuotare il portafoglio nelle scintillanti boutique che li attendono a braccia aperte. E per chi non potesse venire, nessun problema: le attività del gruppo si ramificano anche nell’e-commerce, in particolare attraverso il modello multicanale: vedere alla voce Dmail, per esempio.

 

La famiglia

Nella classifica 2022 dei più ricchi d’Italia stilata da Forbes, Percassi occupa la 42ma posizione, accanto a Diego Della Valle e appena sotto a Massimo Moratti, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, giusto per dire. Anche se, da buon bergamasco delle valli, non è certo un frequentatore di palcoscenici mondani. Men che meno della politica. Si interessò alla nascita del quotidiano Libero di Vittorio Feltri, ma alla fine decise di lasciar perdere: schierarsi troppo non fa bene agli affari. Chi lo frequenta lo descrive schivo, di poche parole. E decisamente pragmatico. Sa bene, ad esempio, che per garantire un futuro alle proprie aziende bisogna organizzarsi per tempo. Soprattutto se gli eredi sono ben sei. Uno, Luca, ha seguito le orme paterne dentro e fuori i campi di calcio, prima come difensore in diversi club e poi come dirigente dell’Atalanta. Così come sono coinvolti a vario titolo nelle aziende di famiglia gli altri quattro figli avuti dal primo matrimonio: Stefano al vertice di Kiko, Matteo allo sviluppo dei franchising, Giuliana e Federica nel retail. In attesa di Michael, nato nel 2013 dalla nuova compagna Sabrina Iencinella, ex Miss Marche e titolare a Milano di un’agenzia di eventi.

Pochi, quindi, si stupirono della decisione, all’indomani della nascita del sestogenito, di separare le attività di famiglia cedendo la propria quota nell’immobiliare Percassi ai fratelli Santo e Rino e al nipote Francesco, in cambio del controllo del 100% della holding Smalg, cui fanno capo le attività retail.

 

Nuova stagione per la “Dea”

E anche l’Atalanta, appunto: nel 2010 Antonio Percassi l’aveva ricomprata dai Ruggeri, riportandola nella massima serie e introducendola nei salotti buoni del calcio continentale, fra Europa League e Champions League, dove nel 2020 venne fermata solo ai quarti di finale dal Paris Saint-Germaine. Lo scorso febbraio Percassi ha ceduto la maggioranza della “Dea” a una cordata di imprenditori americani guidata da Stephen Pagliuca. Mantenendo comunque la presidenza, così come il figlio Luca è stato confermato amministratore delegato. Anche al di là dell’Oceano, del resto, sanno bene chi sia questo valligiano poco loquace ma tanto concreto. Lo sa Howard Shultz, numero uno di Starbucks, che lo scelse come unico licenziatario per lo sbarco in Italia della multinazionale delle caffetterie, nel 2018, dopo vent’anni di tentennamenti. E lo sanno gli abitanti di Tusayan, cittadina di 600 abitanti all’ingresso del parco del Grand Canyon, dove da anni la sua Stilo Immobiliare progetta di costruire il Canyon Forest Village, un centro commerciale con negozi, alberghi, ristoranti, centro congressi, spa e parco acquatico. Un progetto bocciato nel 2016 a seguito di un referendum fra la popolazione locale. Ma che i Percassi sono ancora ben intenzionati a portare avanti: chi ha conquistato il mondo partendo dalla Val Seriana non si ferma nemmeno davanti alle aspre montagne dell’Arizona.

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