L’epopea degli Amenduni

Stefano Fossati

 

 

Lontana dai riflettori e dalle cronache mondani, poco o per nulla nota al grande pubblico, in realtà la famiglia Amenduni, proprietaria delle Acciaierie Valbruna di Vicenza, rappresenta è uno dei più importanti nuclei industriali di quel Veneto divenuto, nel secondo dopoguerra, delle più locomotive economiche d’Italia. Anche se almeno una parte della storia ha origine molti chilometri più a sud, in Puglia, dove il 4 aprile 1918 nacque il patriarca Nicola.

 

Le origini

Cresciuto in provincia di Bari, Nicola aveva solo sette anni quando, su a Vicenza, l’imprenditore Ernesto Gresele fondò la Ferriera Valbruna, piccola azienda specializzata nella produzione di attrezzi per l’agricoltura. E ancora non poteva certo sapere che, poco più di un quarto di secolo più tardi, proprio quell’azienda e la città veneta lo avrebbero proiettato nell’Olimpo dei grandi capitani d’azienda. Anche se aveva ancora i pantaloni corti, quando venne a contatto con il mondo dell’industria: a 11 anni, infatti, il padre Michele iniziò ad accompagnarlo all’interno della fabbrica di famiglia, che dal 1905 realizzava macchine in ghisa per la raccolta delle olive e per la produzione di olio e vino. Una piccola impresa a conduzione decisamente familiare, tanto che già nel 1933 il 15enne Nicola, pur continuando a frequentare la scuola, iniziò a lavorare in pianta stabile nell’azienda per sostituire il padre, costretto a letto dalla malaria.

 

 

Self made man

“Non mi era ancora spuntata la barba ed ero estremamente incuriosito dal liquido incandescente che osservavo colare negli stampi e prendere poi il colore e la solidità della ghisa”, raccontava Amenduni ricordando quegli anni. La curiosità stimola la passione e la passione, spesso, alimenta la creatività: così, dopo avere assunto la guida del laboratorio nel 1937 a seguito dell’aggravarsi delle condizioni di salute del padre Michele (sarebbe morto l’anno successivo), negli anni successivi il giovane Nicola iniziò a progettare macchinari innovativi per l’industria olearia. Le cronache ricordano in particolare la “superpressa”, costruita con blocchi di acciaio inossidabile prodotto dalla Cogne. Fino a quando la guerra non fermò tutto.

 

Emigrazione a Nord-Est

Ma Amenduni non era certo tipo da scoraggiarsi. Anzi. Se nell’immediato dopoguerra le aziende agricole del Sud non avevano soldi per comprare nuove attrezzature, lui andava a cercare opportunità altrove: comprava dalla Svezia pasta per detersivi che rivendeva alle imprese italiane, si lanciò nel business della compravendita di petrolio dall’Iran proprio mentre Enrico Mattei veniva nominato liquidatore dell’Agip. Quello stesso Mattei che, anni prima, quando era alla direzione della Conceria Fiore di Matelica, andava a Bari a chiedere ad Amenduni di regalargli pezzi di ghisa che altrimenti non avrebbe potuto pagare. Passata l’emergenza, Nicola tornò a occuparsi dell’azienda, trasformandola in una vera realtà industriale: per fare ripartire la prodizione olearia a livelli importanti c’era bisogno delle sue macchine, un passo avanti a quelle della concorrenza. Gli ordinativi aumentavano e Amenduni partì alla ricerca di nuovi fornitori di acciaio. Nel 1952 arrivò a Vicenza per trattare con Ernesto Gresele il quale, negli anni, aveva anch’egli espanso significativamente la sua impresa: nel 1939 all’attività della ferriera si erano affiancati l’acciaieria e il laminatoio e nel 1947, appena terminata la ricostruzione degli stabilimenti distrutti dai raid aerei tre anni prima, la denominazione era cambiata in Acciaierie Valbruna Ernesto Gresele.

 

Il matrimonio

Già dal primo incontro il vecchio industriale veneto e l’intraprendente imprenditore pugliese si piacquero, parlavano con accenti diversi ma la lingua era la stessa, quella del lavoro, della fabbrica. Nel 1956 Gresele, con tutta la famiglia, si recò a Bari per far visita ad Amenduni, che in quell’occasione conobbe la figlia del patron dell’acciaieria, Maria (ma lui preferiva chiamarla Mariù). Si sposarono poco tempo dopo e fu così che, nel giro di pochi anni, Vicenza sarebbe diventata la città d’adozione di Nicola Amenduni. Nel 1957 il suocero, avendone ormai ben colte le capacità imprenditoriali, gli chiese di entrare nelle Acciaierie Valbruna per tentare di risollevare le sorti di un’azienda oberata dai debiti. Una decisione che avrebbe segnato una svolta per l’impresa e per lo stesso Amenduni, anche se all’inizio non fu affatto facile, nel profondo Nord-Est degli anni ’50: “Ero il marito della figlia del proprietario. Ed ero meridionale. Ma ho conquistato il rispetto di tutti con la dedizione al lavoro, che qui in Veneto è una religione, e con la capacità tecnica, perché io ero veramente un maestro di fonderia”, scrisse nel 2016 nella sua autobiografia “Olio, acciaio e… fantasia. I miei impetuosi cent’anni (o quasi) fra Bari e Vicenza”, pubblicata per Rumor Edizioni in occasione del suo 98mo compleanno.

 

L’ingresso in Mediobanca e Generali

Furono i fatti a dimostrare che quel giovane pugliese non aveva meritato i ruoli crescenti all’interno della società solo perché era il genero del “padrone”. Al suocero, Amenduni aveva posto una condizione: “O si fa a modo mio, o non se ne fa nulla”. E si fece a modo suo. A partire dalla scelta di puntare con convinzione sull’acciaio inossidabile, che sarebbe diventato un prodotto chiave del boom industriale del decennio successivo, abbandonando gradualmente la produzione di acciai basso-legati. Nel 1960, la fonderia fu delocalizzata a Piove di Sacco, nel Padovano, lasciando i capannoni di Vicenza completamente a disposizione dell’acciaieria e del laminatoio. E nel 1964, per tagliare i costi delle intermediazioni, venne aperto a Milano il primo magazzino destinato alla vendita diretta alla clientela. Nel giro di pochi anni, Amenduni non solo fu in grado di raddrizzare la situazione finanziaria, ma fece della Valbruna uno dei leader internazionali del settore, in diretta concorrenza con le milanesi Breda e Falck.

 

L’ascesa finanziaria

Ma né Vicenza né Milano erano i punti di arrivo per il vulcanico imprenditore partito dalla Puglia: nel 1966, quando ancora la parola “internazionalizzazione” non ricorreva così spesso nel lessico dell’industria italiana, fondò a Cali, in Colombia, la Sidelpa, ancora oggi unica realtà in grado di produrre acciai speciali nel Paese sudamericano. Le Acciaierie Valbruna continuavano intanto a crescere anche in patria: nel 1972 fu inaugurata la nuova, grande sede nella zona industriale di Vicenza, dove negli anni successivi venne gradualmente trasferita tutta la produzione. Anni dopo, rispettivamente nel 1995 e nel 2004, sarebbero state acquisite le Acciaierie Bolzano e la statunitense Slater Steels, nell’Indiana.

Il peso assunto nel panorama industriale italiano proiettò “don Nicola” – come avevano iniziato a chiamarlo a Vicenza – ai piani alti della finanza che conta: diventò azionista di Mediobanca, di cui entrò anche nel patto di sindacato, nonché di Generali e – più recentemente – della società di investimenti immobiliari Aedes Siiq. Anche se fece di tutto per tenere la finanza il più possibile lontano dalla sua azienda. Come quella volta che un certo Michele Sindona, non ancora banchiere, si presentò a Vicenza insieme con il vicepresidente di una multinazionale americana dell’acciaio che aveva manifestato interesse per la Valbruna, salvo poi cambiare idea. Nicola Amenduni sentì puzza di bruciato e, alla fine, li mise alla porta.

 

Legami con le radici

Scomparso il 7 febbraio 2022 alla veneranda età di 103 anni, “don Nicola” mantenne fino all’ultimo un ruolo centrale nelle Acciaierie Valbruna e nelle altre controllate, pur avendo coinvolto in ruoli di sempre maggiore responsabilità i cinque figli avuti da “Mariù”: Michele, Ernesto, Massimo, Maurizio e Antonella. A loro fa capo oggi un piccolo impero industriale e finanziario che, oltre al polo siderurgico (2.500 dipendenti nel mondo per un fatturato di 1.223,3 milioni di euro nel 2021), comprende la maggioranza del veicolo d’investimento Ferak, che detiene circa l’1,3% di Generali, e la holding immobiliare Vi-Ba, che controlla poco meno del 10% di Aedes Siiq. Oltre naturalmente alla storica azienda fondata dal nonno Michele in Puglia. Perché Nicola, divenuto vicentino d’adozione, non tagliò mai i ponti con la Puglia. Dove l’impresa di famiglia, diventata Amenduni Nicola Spa, prosegue tutt’oggi la sua attività attraverso lo stabilimento principale di Modugno, in provincia di Bari: il 75% dei 21,6 milioni di ricavi deriva oggi dall’estero, a partire dalla Spagna, dove l’azienda è presente con una sede a Jaén, in Andalusia.

La chiave del successo? La ricordò Nicola Amenduni in una delle sue ultime interviste: “E’ rappresentata dal controllo di gestione. Con il controllo di gestione si capisce tutto. Apri gli occhi. Vedi dove guadagni e dove perdi”. Più semplice di così…

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