Stefano Fossati
Anni ’60 del Novecento. Poco più di mezzo secolo fa. Milano, la Milano dove oggi gli immobili hanno quotazioni monstre, dove non c’è più spazio per costruire se non riqualificando – a caro prezzo – le ultime aree dismesse dalle industrie che non ci sono più, era il terreno ideale per gli immobiliaristi. Quelli di una volta, quelli veri, nati nei cantieri e cresciuti a pane e mattoni, non nei business plan dei grandi fondi internazionali. Fuori dal centro, fumavano le ciminiere delle fabbriche, quelle fabbriche di cui oggi, se va bene, sopravvive giusto il nome. Breda, Falck, Alfa Romeo, Cge, Marelli, Osram, Innocenti davano lavoro a migliaia di operai e a migliaia arrivavano da Milano dalla provincia ma anche dal resto d’Italia, soprattutto dal Sud, per trovare lavoro in fabbrica. C’era fame di abitazioni e in periferia, soprattutto a ovest, c’erano distese di prati incolti, cascine e campi coltivati, già destinati all’urbanizzazione dai piani regolatori di epoca fascista ma ancora in attesa di essere lottizzati. Il posto giusto e il momento giusto per i costruttori, appunto.
I rapporti con Berlusconi
Fra questi, un giovane Silvio Berlusconi, classe 1936 e Giuseppe Cabassi, detto Pino, di sette anni più anziano. Due caratteri e due stili diversi ma stessa capacità di fare affari, due storie destinate a incrociarsi in tante occasioni, a volte da amici e alleati (insieme con il catanese Mario Rendo tentarono di conquistare il Corriere della Sera, senza riuscirci, nel 1983), a volte da concorrenti: si soffiavano terreni da edificare, si scontrarono con le rispettive squadre di hockey su ghiaccio negli anni ’90, corsero l’uno contro l’altro per comprare il Milan da Giussi Farina nel 1986, con il Cavaliere che – pare per intercessione di Bettino Craxi – scippò il club a Cabassi a tempo ormai scaduto.
Alla conquista dei cantieri milanesi
A porre le basi delle loro fortune familiari erano stati i rispettivi padri: se quello di Berlusconi, Luigi, era funzionario della Banca Rasini, che ne finanziò le prime iniziative immobiliari, quello di Cabassi, Giovanni, era partito da Cavriago, nella provincia reggiana, dalla piccola impresa paterna di demolizioni edilizie e recupero rottami. Intuendo le opportunità legate alla grande trasformazione urbanistica di Milano, agli inizi degli anni ’20 si trasferì all’ombra della Madonnina, dove avevano attecchito le teorie – espresse da Le Corbusier per Parigi – della ricostruzione degli spazi urbani sulla base delle esigenze moderne. All’attività iniziale, Cabassi affiancò così l’estrazione e il trasporto di sabbia per le opere edili, partendo da una cava a Lambrate ed espandendosi ad altri siti in periferia e lungo il Ticino.
La famiglia
Nella seconda metà degli anni ’20 sposò Luigia Farina, detta Luisa, e il 6 giugno 1929 nacque il primogenito della coppia, Giuseppe. La città era in continua espansione: il piano regolatore del 1934 aveva previsto l’edificabilità di quasi tutto il territorio comunale, cosa che aveva fatto apprezzare i terreni ex agricoli nelle periferie. Nel 1940, insieme con la moglie e il conterraneo Ferruccio Bonilauri, Cabassi costituì la società anonima San Quirino con lo scopo di acquisire fondi agricoli a Milano e nell’hinterland, oltre alla proprietà delle aree in cui si trovavano gran parte delle cave utilizzate fino ad allora.
Una scelta lungimirante, che avrebbe contribuito non poco all’ascesa della famiglia nell’Olimpo dei grandi costruttori immobiliari. Finita la guerra e avviata la ricostruzione – con le cave di Cabassi che lavorarono a pieno ritmo per fornire la sabbia e per smaltire le macerie dei palazzi distrutti – agli inizi degli anni ’50 il giovane Giuseppe Cabassi, detto Pino, entrò in azienda per affiancare il padre, impegnato su fronti sempre più diversificati: alle demolizioni, alle cave, agli investimenti immobiliari e all’edilizia, si erano aggiunti in quel periodo impegni in diverse attività industriali.
Cresciuto in una famiglia dai forti valori cattolici, appassionato di sport (nel 1949, a Genova, fu primo nei cento metri piani ai campionati italiani di terza categoria), dopo la maturità scientifica all’Istituto San Carlo Pino si iscrisse alla Facoltà di Economia e Commercio dell’Università Cattolica ma non diede nemmeno un esame, dedicandosi da subito a tempo pieno all’impresa paterna. “La mia università fu mio padre”, raccontò anni dopo: più che un insegnante, un modello di vita, dal quale ereditò la dedizione totale al lavoro, la capacità imprenditoriale ma anche quella sobrietà tipica della borghesia imprenditoriale di una Milano non ancora “da bere”.
Il passaggio di testimone
Nel 1954 Giovanni morì a 55 anni a seguito di un intervento chirurgico e poco tempo dopo la moglie Luisa rimane invalida a causa di una paresi. Dell’ingente patrimonio familiare, Pino ereditò i terreni nell’area sud-ovest di Milano e il controllo operativo delle attività, lasciando al fratello minore Carlo i fondi nella zona nord-ovest della città. Ritrovatosi da solo al timone delle aziende di famiglia, Giuseppe Cabassi decise di concentrarsi sul settore immobiliare, dismettendo progressivamente gli altri business. Nel 1956 sposò Laura Mastracchi, 16 anni, figlia dell’imprenditore di origini pugliesi Giovanni Mastracchi Manes. A presentarla a Cabassi, pochi mesi prima, era stato padre Enrico Zucca, monaco francescano assiduo frequentatore della famiglia e noto in città per il suo grande impegno (aveva fondato fra l’altro il centro culturale Angelicum) e per le sue amicizie nella Milano bene. E il matrimonio, oltre a otto figli, avrebbe portato grandi vantaggi a Giuseppe, sul quale sarebbero confluiti gli interessi del suocero in ambito immobiliare.
La scalata alla finanza italiana
Negli anni ‘70, dopo la scomparsa di Mastracchi, l’attività si orientò soprattutto sui servizi immobiliari per il terziario avanzato. Vennero acquisite la Isvim e la De Angeli-Frua, società quotate in Borsa proprietarie di ingenti patrimoni immobiliari. A fine decennio Cabassi avviò il progetto Milanofiori, a sud della città, una cittadella direzionale e terziaria che si svilupperà nel tempo ospitando un ipermercato, un impianto sportivo fra i più avanzati d’Europa (il Forum di Assago), hotel, cinema multisala. Ma l’aumento del costo del denaro pesava sul settore: per far fronte ai 200 miliardi di lire di investimento iniziale per Milanofiori, Cabassi dovette ricorrere a ingenti prestiti e in molti casi pagò in appartamenti architetti e titolari di imprese di costruzioni, secondo una logica per cui sarebbe diventato noto come “il mago del baratto”. La cronica mancanza di liquidità del suo gruppo lo convinse, al pari di diversi suoi colleghi, a guardare al settore assicurativo, tipicamente liquido e in grado di generare notevoli profitti. E lo fece ancora una volta con il baratto, rilevando nel 1978 quote dell’Ausonia da Salvatore Ligresti in cambio di due terreni e un palazzo di Milanofiori; l’anno successivo ottenne la maggioranza del capitale dal gruppo Ursini e con lo stesso metodo acquisì poi il controllo di altre compagnie.
Fu solo l’inizio della scalata al gotha della finanza italiana: nel 1979, cedendo beni per 25 miliardi di lire, conquistò il 7% della Bastogi (che dall’incorporazione dell’Istituto Romano di Beni Stabili aveva inglobato un notevole patrimonio immobiliare), poi salì al vertice di Brioschi, società farmaceutica convertita in finanziaria per lo sviluppo immobiliare. Fece clamore, nel 1981, l’acquisizione de La Rinascente in alleanza con Angelo Guido Terruzzi, che aveva lavorato per conto del padre Giovanni nella raccolta delle macerie, prima di fare fortuna con il commercio del nichel.
Un gruppo diversificato
Nel 1984 a Giuseppe Cabassi faceva capo più di una sessantina di società (di cui sei quotate) attive dal tessile al trasporto aereo, organizzate in una serie di sub-holding sotto il cappello della Sintesi (la cassaforte di famiglia costituita due anni prima) per un giro d’affari complessivo di oltre 4mila miliardi di lire. Un impero gravato però da un notevole indebitamento e con al proprio interno diversi “rami secchi” in pesante passivo. Fu quindi avviata una operazione di semplificazione, con numerose cessioni e la rifocalizzazione soprattutto sull’immobiliare e su settori collegati come la logistica, i servizi e i palazzi dello sport. Cabassi fu comunque attento a mantenere la sua influenza nei salotti della finanza attraverso la partecipazione in Gemina. Nel 1990 acquisì il controllo di Bastogi da Vincenzo Romagnoli e due anni dopo presentò il progetto Milanofiori 2000 disegnato da Kenzo Tange. Morì il 21 marzo 1992, una settimana dopo l’approvazione del piano da parte del Consiglio comunale di Assago.
Matteo e Marco al timone
Degli otto figli, a prendere in mano la gestione del gruppo furono in particolare Matteo e Marco. Anche se, fra tanti eredi, non tardarono a manifestarsi le turbolenze che avrebbero portato all’Opa con cui i due, nel 2004, con le sorelle Maria Chiara e Maria Gabriella liquidarono – attraverso la newco Raggio di Luna – gli altri quattro fratelli (Giovanni, Maria Luisa, Luca e Paolo) e mamma Laura. Giusto in tempo per dar modo a Matteo e Marco, rimasti soli in sella, di partecipare al walzer con i vertici di Comune di Milano e Regione Lombardia sui terreni per l’Expo 2015: dalla cessione di terreni agricoli acquistati da nonno Giovanni nel dopoguerra, i Cabassi incassarono poco meno di 46 milioni di euro al termine di un lungo tira e molla che non favorì i buoni rapporti con le istituzioni meneghine e i loro rappresentanti politici, già tesi dal 1994 con l’occupazione della ex cartiera di via Watteau da parte del centro sociale Leoncavallo. E diventati ancora più difficili con le assegnazioni dei progetti immobiliari per le Olimpiadi invernali del 2026, che hanno visto i Cabassi protagonisti di una serie di ricorsi contro le scelte di Palazzo Marino. Nella città dove gli immobili oggi valgono oro, al centro di interessi e mire speculative di investitori di ogni angolo del globo, la terza generazione della dinastia di immobiliaristi vuole rimanere più che mai in partita.