“Il nostro modello resta quello tipico di una boutique, ma sarebbe errato immaginarci come un salotto. Siamo una realtà in continua evoluzione, così come il mercato, attenti alle nuove esigenze espresse dalla domanda e alle nuove opportunità per migliorare continuamente la qualità del servizio”. Così Paolo Vistalli, amministratore delegato di Cassa Lombarda, realtà che ha superato il secolo di vita ritagliandosi un peso crescente nel mercato del private banking italiano.
Dottor Vistalli, cominciamo da uno sguardo ai mercati finanziari, che hanno iniziato il 2024 al rialzo, in linea con il 2023, ma che ora si trovano a fare i conti con una serie di incognite che riguardano sia lo scenario geopolitico, sia le dinamiche inflattive e i conti delle aziende. Come affrontate questa situazione?
Come abbiamo sempre fatto, affiancando in maniera continuativa la clientela per rispondere tempestivamente e in maniera qualificata ai bisogni di protezione e valorizzazione del patrimonio. Al pari dei mercati finanziari, anche le famiglie si stanno abituando a fare i conti con uno scenario in cui i fattori destabilizzanti non sono più una rarità, bensì si susseguono con frequenza, anche se in fondo l’economia continua a crescere, per quanto non a un ritmo esaltante.
Quindi non vede in prospettiva segnali di normalizzazione del quadro macro?
Difficilmente torneremo allo scenario che abbiamo conosciuto fino allo scoppio della pandemia di Covid-19. Prendiamo l’esempio dell’inflazione: dalla spirale bellica alla ricomposizione delle rotte della globalizzazione, fino alla transizione ecologica, ci sono diverse ragioni che continueranno a sostenere una crescita dei prezzi al consumo non trascurabile.
In questo scenario è forte la tentazione di togliere i soldi dal tavolo e vedere come evolve la situazione, anche se – come lei stesso ha sottolineato – le borse sono reduci da oltre un anno di rialzi.
In situazioni come quella che stiamo vivendo emerge il valore della consulenza professionale, in grado di aiutare la clientela a investire in maniera consapevole, in linea con i propri obiettivi di vita e familiari. E in questo concetto non rientra solo la scelta degli asset da acquistare, ma anche la capacità di gestire i rischi. L’equilibrio tra rischi e opportunità può consentire di fare la differenza in un contesto di volatilità elevata e tassi elevati.
Lo scenario è in evoluzione anche dal lato dell’offerta. Come vede le prospettive del private banking?
Il settore, tradizionalmente considerato conservativo, si trova ad affrontare alcune sfide strutturali, a cominciare da quella generazionale, che tocca sia il lato clienti, sia gli intermediari. Siamo un Paese che spicca più per patrimonio accumulato che per capacità di generazione di reddito, con buona parte della ricchezza in mano a chi è avanti con l’età. I prossimi anni vedranno un passaggio di ricchezza nelle mani delle nuove generazioni come mai si è visto fino ad ora.
Sul mercato arrivano i nuovi benestanti, che tuttavia faticano a dialogare con professionisti di età avanzata. Come se ne esce?
Ha centrato una delle questioni cruciali per l’oggi e – soprattutto – per il domani. Dieci anni fa il private banker aveva in media 46 anni, oggi 53 e mezzo. Il passaggio generazionale dal lato consulenti non è più rinviabile se si vuole conquistare la fiducia delle giovani generazioni. In questi anni il private banking è cresciuto sottraendo sempre più quote alle strutture tradizionali: c’è spazio per crescere ancora, ma occorre cambiare marcia.
Per quanto vi riguarda, come vi muovete su questo fronte?
Il nostro modello di servizio è – da sempre – quello tipico di una boutique. Offriamo un servizio davvero personalizzato, con un’assistenza continuativa della clientela. Ma sarebbe errato pensare a noi come a un salotto: siamo una realtà dinamica, che sta accelerando l’inserimento di giovani professionisti, che formiamo su competenze e strumenti, affiancandoli ai nostri banker senior.
Il servizio viene offerto con un approccio olistico, che non guarda solo all’ambito finanziario, ma a tutto il patrimonio familiare. L’esempio tipico è costituito dagli atti di discontinuità come può essere l’acquisto o la cessione di un’impresa, con il reimpiego della liquidità incassata nel secondo caso. Poi c’è la tematica del passaggio generazionale, ci sono gli investimenti in arte e immobili e ci sono le questioni fiscali. Il private banker non è un tuttologo, per cui inevitabilmente non potrà rispondere da solo a tutte le richieste del cliente, ma può essere un valido regista in grado di indirizzarlo verso gli specialisti di ogni settore, dentro e fuori dal contesto della nostra azienda.
Tornando all’ambito degli investimenti, ultimamente la tematica Esg ha perso un po’ di centralità vuoi per alcune critiche di carattere politico, soprattutto negli Stati Uniti, vuoi per il susseguirsi delle emergenze, come quelle relative alle tensioni internazionali. Va rivisto il concetto di sostenibilità?
Le questioni ambientali, sociali e di governance costituiscono un’evoluzione strutturale che riguarda non solo il settore finanziario, ma la società nel suo insieme e quindi anche le nostre vite. Valga un esempio per tutti, le conseguenze dei cambiamenti climatici in termini di fenomeni naturali estremi.
Detto questo, è pur vero che talvolta la tematica Esg è stata sbandierata da alcuni operatori finanziari senza che alle dichiarazioni seguissero azioni concrete. In questo senso la selezione in corso è benvenuta.
Quali sono oggi i numeri di Cassa Lombarda?
Siamo arrivati a poco meno di 5,5 miliardi di masse in gestione, quindi 400 milioni in più rispetto al 2022. I private banker sono una cinquantina con un portafoglio medio-alto rispetto alla media del mercato, circa 100 milioni di portafogli clienti.
Contiamo di continuare a crescere anche grazie alla creazione di un team di consulenti autonomi che affiancano i private banker dipendenti. Inoltre, il fatto di avere una capogruppo svizzera ci consente di offrire servizi anche in modalità transfrontaliera.
Crescerete stand alone o valutate eventuali acquisizioni?
I cambiamenti strutturali che ho fin qui citato, insieme con la necessità di investire continuamente nell’innovazione tecnologica, fanno emergere l’importanza delle dimensioni d’impresa. Ma è pur vero che non sempre le aggregazioni hanno portato valore in ambito bancario. Alla luce di queste considerazioni, siamo sempre con l’occhio vigile e l’orecchio aperto, ma al momento non c’è alcunché in pipeline.
Chiudiamo con due parole su di lei. Abbiamo parlato tanto dei cambiamenti in atto: questo impatta anche sul suo stile manageriale?
A 60 anni difficilmente si cambia (sorride, ndr). A parte le battute, credo che non esistano messaggi motivazionali più forti dell’esempio. I miei colleghi sanno che sono sempre a disposizione per un confronto e che il mio motto è sempre “uno per tutti” più che “tutti per uno”. Questo non significa che sto fermo: anch’io sono impegnato quotidianamente per affiancare all’esperienza, l’apertura all’innovazione. Nel mondo succedono tante cose ed è importante conoscerle per essere sempre pronti a fare al meglio il proprio lavoro.