Legg Mason AM: gli italiani? sempre più attratti dalle piazze internazionali

GUARDARE ALL'ESTERO – Gli investitori italiani sono sempre più interessati alle piazze internazionali. È quanto emerge da un’indagine commissionata dal gruppo americano Legg Mason Asset Management a Northstar tra dicembre e la metà di febbraio. Sentiti oltre 3mila investitori mondiali con un patrimonio di almeno 200mila dollari. Secondo il Global Income Survey, il 55% degli investitori che al momento non investe all’estero è intenzionato a considerare questa possibilità. Nel confronto, le percentuali sono del 25% in Germania, del 20% in Francia e del 24% negli Stati Uniti. In questa classifica, l’Italia è seconda solo alla Cina in quanto a inclinazione a investire all’estero.

LE STRATEGIA D'INVESTIMENTO – Quanto alle strategie di investimento, per il 2013 il 40% degli intervistati intende aumentare l’allocazione nel reddito fisso, mentre il 29% vuole aumentare la porzione di azionario e il 24% mira a incrementare gli investimenti immobiliari. Dall’altra parte, il 25% mira a ridurre gli investimenti nell’azionario, il 24% intende rivedere al ribasso gli investimenti alternativi e il 21% vuole diminuire l’allocazione in contanti. “Gli investitori italiani”, ha detto Marco Negri, country head Italy di Legg Mason Global Asset Management, “sembrano puntare molto sul reddito fisso come soluzione per aumentare il loro reddito proteggendo al tempo stesso i loro investimenti in uno scenario che dovrebbe rimanere volatile nel corso dei prossimi mesi”.

IL PORTAFOGLIO – Il 56% mira alla differenziazione del portafoglio, preferendo l’investimento in più Paesi piuttosto che in fondi mono-Paese. Tra i mercati più attraenti, l’europeo rimane la prima scelta (64%), seguito dagli Usa (63%), dai Paesi emergenti non Bric (62%) e poi da India (60%) e Cina (59%). Ultima è la Russia. La mancanza di trasparenza delle informazioni è il principale ostacolo percepito (42%), insieme al rischio (38%) e all’incertezza globale (37%). In ultima posizione, il timore del rischio valutario (36%).

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