Patti successori: i perché del divieto

Nicola Martinelli* *Junior associate dello studio legale Loconte and Partners

 

Nell’ambito del diritto successorio, il nostro Codice Civile, all’art. 458 c.c., vieta i patti successori, intendendosi con ciò quei negozi giuridici che attribuiscono o negano diritti su una successione non ancora aperta. Tale divieto deriva dal principio secondo il quale la delazione all’eredità può avere come fonti esclusivamente la legge o il testamento. Solamente il de cuius, quando è ancora in vita, può, attraverso il testamento, disporre dei propri beni.

Il divieto ha una duplice finalità: da un lato, salvaguardare il predetto principio e, dall’altro, garantire e tutelare la libertà testamentaria fino al momento della morte del testatore.

 

 

Tre tipologie

I patti successori sono comunemente classificati in tre tipologie. Con il patto c.d. istitutivo il testatore istituisce contrattualmente un erede o un legatario oppure si impegna a disporre per testamento in un certo modo. Invece, i patti c.d. dispositivi sono quegli atti mediante i quali un individuo dispone di beni o diritti relativi ad una eredità altrui, non ancora aperta e rispetto alla quale ipotizza che sarà delato. Infine, i patti c.d. rinunciativi sono quei negozi con i quali un soggetto conviene di rinunciare a beni o diritti che potrebbero derivargli da una successione non ancora aperta.

La ragione alla base del divieto legislativo dei patti successori non è individuabile in modo omogeneo, poiché l’unico elemento che accomuna le tre diverse tipologie di patti successori è il fatto di avere ad oggetto beni appartenenti a una successione non ancora aperta.

 

Motivazioni differenti

Per quanto concerne i patti istitutivi, il divieto si basa sulla decisione di affidare alla ‘sacralità’ del testamento le decisioni sulla istituzione di erede o di legato, al fine di preservare la libertà del testatore e di evitare condizionamenti pericolosi da parte di terzi.

Invece, con riferimento ai patti dispositivi, il motivo a fondamento del divieto per i patti dispositivi varia a seconda che si tratti di un atto a titolo gratuito o di un atto a titolo oneroso. Nella prima ipotesi, l’obiettivo è prevenire la prodigalità, mentre nella seconda vi è l’esigenza di rispettare l’altrui morte, vietando un atto che potrebbe essere speculativo sulla morte altrui.

Infine, per quanto riguarda i patti rinunciativi il divieto mira a impedire al futuro (potenziale) successore di compiere atti poco avveduti dei quali potrebbe non intendere appieno la portata, anche a causa della non titolarità dei diritti rinunciati.

Tutto ciò premesso, è opportuno precisare che per accertare l’invalidità della disposizione testamentaria esecutiva del patto successorio, non è sufficiente dimostrare solo la conformità della disposizione testamentaria al patto o alla promessa di testare. Al contrario, è necessario fornire la prova che il testatore non avrebbe confezionato quella disposizione in assenza del patto oppure che la disposizione rappresenta semplicemente l’attuazione di un precedente impegno assunto dal testatore.

 

 

L’orientamento della Cassazione

Di recente, la Suprema Corte di Cassazione si è occupata del tema dei patti successori in due occasioni, distanti solo di poche settimane l’una dall’altra (Sentenze n. 34858/2023 e n. 722/2024). Nel primo caso, ha stabilito che la donazione soggetta a condizione sospensiva di premorienza del donante malato terminale non costituisce un patto successorio. Nel secondo caso, invece, l’attore chiedeva la revocazione per sopravvenienza dei figli di una donazione di quote sociali precedentemente da lui stesso posta in essere a favore delle sorelle. Queste ultime, costituitesi in giudizio, deducevano che in realtà l’atto, pur presentandosi formalmente come una donazione, costituiva l’esecuzione di un’intesa formalizzata con una scrittura privata, per mezzo della quale i genitori intendevano regolare, insieme ai figli, l’assetto della divisione dei propri beni. A tale deduzione, l’attore replicava in atti sostenendo la nullità della scrittura privata poiché stipulata in violazione del divieto di patti successori. Dal canto loro, gli Ermellini hanno ribadito il principio per cui l’impegno assunto dai fratelli, d’intesa con i genitori, di procedere a forme di conguaglio o compensazione per la differenza di valore dei beni loro donati in vita dai genitori non viola il divieto di patti successori.

 

Gli aspetti da accertare

In entrambe le situazioni, la Cassazione ha riaffermato che, per determinare se una specifica pattuizione rientri nell’ambito del divieto di patti successori, è necessario accertare (i) se il vincolo giuridico abbia avuto lo scopo specifico di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; (ii) se la cosa o i diritti oggetto di tale pattuizione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione e se siano, comunque, ricompresi nella stessa; (iii) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi del c.d. diritto di ripensamento; (iv) se l’acquirente abbia contrattato o stipulato quale avente diritto alla successione stessa; (v) se il trasferimento programmato, dal promittente al promissario, debba aver luogo a causa di morte e, quindi, a titolo di eredità o di legato.

I giudici di legittimità hanno altresì precisato che il divieto di patti successori si applica agli atti mortis causa (diversi dal testamento) idonei a regolare rapporti o situazioni giuridiche che, alla morte del disponente, vengano a costituirsi in via originaria o a trarne una loro autonoma qualificazione senza produrre alcun effetto fino a quando il soggetto è in vita. Viceversa, sono sottratti al divieto tutti gli atti destinati a regolare una situazione preesistente, sia pure subordinandone gli effetti alla morte di una delle parti (come, ad esempio, la donazione sottoposta a condizione di premorienza).

 

Le differenza con il common law

Infine, in ottica comparativa, è interessante notare che i patti successori, vietati ai sensi della legge italiana, sono leciti in diversi paesi stranieri, inclusi quelli di common law e in Germania. Di conseguenza, sorge la questione riguardo la possibilità di riconoscere nel nostro ordinamento tali atti stipulati secondo le norme di un diritto straniero che li ammette. I patti successori, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, non sono da considerare contrari all’ordine pubblico e, pertanto, se validi secondo la legge straniera applicabile, potrebbero trovare attuazione anche in Italia in forza del diritto internazionale privato.

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