Asset allocation, la view di Anima in una fase di cambiamento di passo dei mercati

Il quadro è cambiato in modo significativo rispetto al mese precedente e il secondo trimestre del 2022 appare, se possibile, ancora più sfidante del primo. Crescita, inflazione e politiche monetarie aggressive impongono una certa cautela in un contesto dove la volatilità è protagonista. “È opportuno, quindi, regolare continuamente le vele in funzione delle circostanze e dei venti prevalenti. Pronti a virare quando le condizioni lo richiedono“, avvertono gli esperti di Anima, che di seguito illustrano nel dettaglio la view.

“Non possiamo dirigere il vento, ma possiamo orientare le vele”, affermava il filosofo romano Seneca. E il vento, in questa prima parte dell’anno, è cambiato diverse volte rendendo la navigazione sempre più complicata. La nostra lettura dello scenario macro, comunque, è in gran parte invariata: il flusso di dati più recente conferma sia la tenuta della crescita, sia la prossimità del picco d’inflazione. Ma qualche situazione a cui prestare attenzione c’è, soprattutto in Area Euro e Cina, seppur per ragioni differenti. E con banche centrali che continuano nella loro retorica aggressiva, non è possibile spiegare le vele e lasciarsi trasportare dal vento.

Crescita

I consumatori continuano a mantenere livelli di spesa elevati e questo è uno dei fattori che rinsalda la nostra convinzione che l’economia globale continuerà a espandersi a un ritmo superiore al potenziale. Il contributo determinante arriva sempre dagli Stati Uniti, nonostante il Pil abbia registrato nel 1° trimestre il primo calo dallo scoppio della pandemia, a -1,4% (variazione trimestrale annualizzata), un dato però attribuibile all’aumento del deficit commerciale, con la domanda interna apparsa robusta. Da segnalare, invece, un deterioramento delle prospettive di crescita in Area Euro e Cina, rispettivamente per il prolungarsi del conflitto e la recrudescenza della pandemia. Conferme sulla solidità della crescita, comunque, arrivano da una molteplicità di indicatori: il calo generalizzato degli indici che misurano il livello di restrizioni , le prenotazioni degli hotel (con il tasso di occupazione ai livelli pre-pandemici, nonostante prezzi più alti del 30%), l’attività nel segmento della ristorazione, i dati sul traffico aereo, gli indici di mobilità (malgrado l’impennata del prezzo del petrolio) e per finire l’uso delle carte di credito.

Il messaggio che emerge in modo consistente è che i consumatori mantengono livelli di spesa elevati, nonostante l’inflazione abbia raggiunto i massimi da quarant’anni (a marzo, 8,5% negli USA e 7,5% in area Euro). Inoltre, se guardiamo ai dati macro aggregati negli Stati Uniti, il miglioramento degli indici di fiducia delle imprese nel settore manifatturiero indica che i danni prodotti dalla guerra sono relativamente gestibili, avvalorando la nostra tesi che la crescita sia robusta. Purtroppo, non possiamo fare lo stesso discorso in Area Euro: il sentiment si è deteriorato in modo generalizzato, e alcune sotto-componenti come i nuovi ordini e i nuovi ordini esteri rinforzano il segnale.

Sul fronte della domanda, alla stessa stregua, la fiducia dei consumatori è salita negli USA, mentre è crollata in Area Euro. Valutando infine le dinamiche in atto a livello strutturale, lo stato di salute del mercato del lavoro è straordinario, con la domanda a livelli record e il tasso di disoccupazione sotto i livelli pre-Covid (USA) o sui minimi storici (Area Euro); questo, insieme con il supporto offerto dallo stock di risparmi accantonati negli ultimi due anni, rappresenta un fattore di supporto fondamentale per i consumi e la crescita in generale. Ciò detto, un elemento di incertezza che potrebbe pesare c’è, ed è rappresento dai prezzi dei beni alimentari: una volta che le tensioni si saranno allentate, il petrolio potrebbe tornare sui livelli precedenti lo scoppio della guerra, ma i prezzi del cibo non dovrebbero comportarsi allo stesso modo, rimanendo elevati e influenzando in misura significativa le aspettative di inflazione.

Inflazione

Per quanto riguarda la dinamica dei prezzi, resta la convinzione che la fase più acuta dello shock provocato da pandemia e guerra sia alle spalle e che il picco inflattivo sia vicino. Infatti, alcune evidenze preliminari che supportano questa tesi stanno già emergendo, e specialmente un fattore dovrebbe incidere in modo significativo sulle prospettive di inflazione: i salari. Diversi indicatori segnalano che negli Stati Uniti le pressioni hanno iniziato a diminuire: la forza lavoro è in aumento; le aspettative dei CFO sulla dinamica dei salari si stanno ridimensionando; il tasso di abbandono del lavoro (per cercarne uno meglio retribuito) si è stabilizzato; e il giudizio dei consumatori sulle prospettive reddituali è peggiorato. In sostanza, sia i datori di lavori che i lavoratori scontano un allentamento delle tensioni sui salari, in linea con il nostro scenario base.

In Area Euro, al contrario, le pressioni sull’inflazione core continuano a intensificarsi e sono diffuse sia ai beni che ai servizi, a conferma della nostra valutazione che il quadro si è deteriorato in modo più sensibile rispetto agli Stati Uniti. Restano però molto contenute le pressioni sulle retribuzioni, con i salari negoziati su livelli depressi e margini di rafforzamento limitati dal fatto che le ore lavorate non sono ancora tornate ai livelli pre-crisi. Inoltre, anche il rallentamento dell’economia potrebbe contenere l’aumento delle retribuzioni.

Banche centrali

Sul fronte delle politiche monetarie, nelle ultime settimane la Fed è diventata ancora più “falco”. Nella sua ultima riunione di maggio ha alzato i tassi di 50 punti base, ovvero l’incremento più marcato dal 2000, con Jerome Powell che ha confermato che ulteriori aumenti dello stesso tenore dovrebbero essere sul tavolo. Con ogni probabilità, la scelta della Fed si giustifica con la solidità dei dati sulla crescita e la rilevanza politica dell’inflazione. Tuttavia, il governatore della Fed ha precisato che “ci sono buone possibilità di un atterraggio morbido”, con l’inflazione che inizierà ad appiattirsi. Inoltre, ed è ciò che ha rassicurato maggiormente i mercati, “un aumento di 75 punti base non è qualcosa che il comitato sta attivamente prendendo in considerazione”, ha spiegato Powell.

al momento che prezzi e salari inizieranno a rallentare a partire dal secondo semestre, manteniamo l’aspettativa che proprio dalla seconda metà dell’anno la banca centrale risponderà al calo delle pressioni sui prezzi e consegnerà meno rialzi di quelli che saranno ventilati nelle prossime settimane.

Discorso simile per quanto riguarda la BCE, che continua a considerare le pressioni salariali una condizione necessaria per l’aumento dei tassi ufficiali. Restiamo dell’avviso che nel secondo trimestre l’inflazione elevata continuerà a giustificare un orientamento aggressivo, ma nella seconda parte dell’anno l’assenza di pressioni sulle retribuzioni dovrebbe spingere la banca centrale ad ammettere che non ci sono le condizioni per un rialzo. A differenza di Fed e BCE, la PBoC sta mantenendo un atteggiamento più accomodante e, con ogni probabilità, continuerà a potenziare gli stimoli nel prossimo futuro.

In questo contesto, quindi, avendo valutato l’andamento dei mercati dallo scoppio della guerra, è opportuno cambiare l’orientamento sull’asset class azionaria, riducendo, in chiave tattica, le vele del rischio dalla precedente neutralità, in tutte le aree geografiche. Il giudizio sulle obbligazioni resta costruttivo, pur continuando a monitorare i rischi di ulteriori rialzi dei tassi in Area Euro. Sulle valute, ci aspettiamo il dollaro in trading range nel secondo trimestre di quest’anno e in indebolimento nella seconda metà dell’anno.

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