Colafrancesco (Assoreti): “Bail in? Non è roba dei consulenti”

NIENTE BAIL-IN PER LE RETI – “Le reti non vivono i conflitti di interesse derivanti dalla necessità di fare raccolta, non collocano proprie obbligazioni, non vivono le crisi che il legislatore comunitario ha recentemente ritenuto di dover risolvere attraverso forme di ‘salvataggio interno’ (bail-in). E in ogni caso operano in prodotti finanziari quali fondi e polizze che sono impermeabili ai nuovi strumenti di salvataggio interno delle banche, aventi a oggetto azioni, obbligazioni e depositi di denaro”. Così si è espresso il presidente di Assoreti Matteo Colafrancesco (nella foto) nel corso dell’audizione presso la commissione Bilancio della Camera, presieduta da Maurizio Bernardo (Ap). L’audizione, che si è svolta mercoledì 17 febbraio, rientra nell’ambito dell’indagine conoscitiva condotta dalla commissione sulle tematiche relative ai rapporti tra operatori finanziari e creditizi e clientela.

I NUMERI DEL MERCATO – Affiancato dal segretario generale Marco Tofanelli, Colafrancesco ha prima di tutto riepilogato i numeri del mercato: “attualmente”, ha segnalato il presidente, “aderiscono all’associazione 27 società appartenenti ai principali gruppi bancari, assicurativi e finanziari operanti nel Paese, le quali si avvalgono di circa 25.000 consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, pari al 70% del numero totale degli iscritti all’Albo di cui all’articolo 31 del Tuf, aventi un mandato da un intermediario. Di essi, la massima parte opera con un mandato di agenzia, mentre gli altri sono inquadrati fra i dipendenti”. Le associate curano il risparmio di quasi 3,7 milioni di clienti (primi intestatari) che hanno affidato masse per 434 miliardi di euro, le quali rappresentano, secondo le prime stime degli uffici dell’associazione, l’11% delle attività finanziarie complessive delle famiglie italiane. Inoltre, “il ruolo delle reti è fortemente consolidato nel settore del risparmio gestito, con una quota patrimoniale dei prodotti distribuiti sul territorio nazionale riconducibile all’attività svolta in offerta fuori sede superiore al 20% e una valorizzazione complessiva delle posizioni pari a 318 miliardi di euro”.

RISCHIO MOLTO CONTENUTO – Il rischio dell’attività svolta tramite i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, ha sottolineato il presidente, “è limitato per definizione, in quanto è riconducibile al compimento di illeciti del singolo consulente finanziario e può quindi coinvolgere al più le masse dei clienti assistiti da tale consulente. Ben poca cosa rispetto alla crisi di una banca tradizionale. È un rischio controllato, perché l’intermediario esercita sui propri consulenti un potere di istruzione e di controllo che si è andato affinando nel tempo attraverso l’impiego congiunto di sofisticati strumenti informatici che consentono l’emersione previa di anomalie nel loro operato, verifiche continue presso i loro uffici e interviste alla clientela”. Controlli imposti dalla normativa, certo, ma “la qualità della formazione è l’altro elemento, accanto ai controlli, su cui fa perno l’industria per assicurare la prestazione di un servizio efficiente alla clientela”. Tuttavia, ha aggiunto Colafrancesco, “all’attenzione dell’intermediario per il cliente si deve accompagnare l’educazione finanziaria di quest’ultimo”.

Clicca qui per leggere il testo integrale dell’audizione.

 

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