JACKFLY (27a Puntata)
«Ti ascolto.»
«Allora… mio padre e mia madre sognavano di farmi andare a scuola al paese. C’era ancora la loro vecchia maestra, sapevano. E la nostalgia si faceva ogni giorno più forte. Non era come adesso, che uno può telefonarsi tutti i giorni, e magari mandarsi la posta elettronica. Allora le telefonate intercontinentali costavano un occhio, bisognava andare a farle da qualche amico o in un posto telefonico pubblico. C’erano solo le lettere, per comunicare, e ci mettevano settimane per attraversare l’oceano.
Un giorno arriva una lettera in cui lo zio Scignia racconta a mio padre di essere diventato un famoso industriale. Aveva comprato una fabbrica di trattori e ora lo aspettava a braccia aperte per offrirgli un posto, per ringraziarlo della fiducia che gli aveva mostrato affidandogli per tanti anni i suoi soldi, quelli che sarebbero dovuti servire per comprare la campagna.
La cosa importante, continuava lo zio, era che fino ad allora uno avrebbe dovuto fare chilometri e chilometri per andare a lavorare in una fabbrica, magari a Torino alla mitica Fiat, invece ora, finalmente, c’era qualcuno che ti portava il lavoro sotto casa. Di lì a poco arrivò anche un’altra lettera, di un vecchio amico di papà, che confermava in tutto e per tutto quella dello zio. Tutte le famiglie del paese si erano mobilitate per trovare un posto di lavoro nell’azienda dello zio Scignia.
Ma i posti erano tanti. E poi, per uno come mio padre, che aveva già esperienza nel campo delle automobili, sicuramente il posto si sarebbe trovato subito. Gli prospettavano qualcosa di talmente desiderabile… pensa: tornare finalmente a casa, e da “vincitore”, dopo avere fatto almeno un po’ di fortuna, e con la prospettiva di un lavoro e di un futuro sicuro. E così tornammo in Italia.»
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*tratto dal romanzo JACKFLY (www.jackfly.net) di Nicola Scambia (www.nicolascambia.net)