Axa Im: rendimenti in crescita sul reddito fisso

RENDIMENTI OBBLIGAZIONARI IN CRESCITA – Durante la scorsa settimana i rendimenti obbligazionari sono saliti, spiega Chris Iggo, chief investment officer Fixed Income di Axa Im. Non tanto, ma abbastanza da allertare gli investitori di fronte ai pericoli di premi per il rischio bassissimi e del ruolo eccessivo delle banche centrali sui mercati. La strategia delle autorità non cambierà probabilmente in misura significativa nel breve periodo, ma si inizia a discutere di un nuovo indirizzo politico e gli investitori cominciano a comprendere che le obbligazioni non resteranno per sempre su valutazioni così elevate. La politica potrebbe farsi più inflazionistica di fronte a un effettivo rafforzamento della crescita. Il calendario politico è un’altra fonte di rischio, pertanto i rendimenti potrebbero salire ancora nel 2017.

L’INSTABILITA’ DEI MERCATI – È stata una settimana agitata. Dalla chiusura di giovedì, i rendimenti dei Gilt decennali sono saliti di 13 punti base, i Treasury di 10 punti base e i Bund decennali sono passati da un rendimento negativo per 6,2 p.b. a un rendimento positivo di 3,2 p.b. L’indice europeo crossover credit default swap (CDS) è salito del 9,2% a dimostrazione che l’oscillazione non ha coinvolto solo i tassi ma anche il credito. Ne ha risentito maggiormente il segmento a lungo termine dato l’irripidimento della curva. Per esempio, il rendimento dei Gilt trentennali è salito di 30 punti base rispetto a inizio settembre. Tutti i segmenti del mercato obbligazionario che seguo normalmente stanno riportando rendimenti negativi finora questo mese, come conseguenza di queste oscillazioni dei tassi. Il mercato britannico ne ha risentito di più con un’inversione di tendenza rispetto alla flessione registrata nelle settimane dopo il referendum. Siamo di fronte a qualcosa di più di semplice turbolenza? Questo breve episodio sui mercati obbligazionari non si può ancora paragonare al taper tantrum del 2013 o allo shock sui Bund del 2015. Tuttavia, riprendendo il commento della scorsa settimana, questo andamento non dovrebbe sorprenderci, considerate le valutazioni attuali e la dipendenza di tali valutazioni dalle politiche straordinarie adottate dalle banche centrali, aggiunge Iggo.

CAMBIA LA POLITICA – Se vogliamo razionalizzare questo andamento, dobbiamo concludere che si teme un cambiamento nell’equilibrio tra politica monetaria e politica fiscale, oppure un nuovo orientamento della politica monetaria che potrebbe dare una nuova direzione ai mercati, sottolinea Iggo. Ma cerchiamo di contestualizzare il ragionamento, partendo col Giappone. La Banca del Giappone ha intrapreso un’ampia revisione della sua politica monetaria a fronte dei timori per le conseguenze negative derivanti da rendimenti troppo bassi nel segmento a lungo termine del mercato obbligazionario. Il mercato si aspetta che la Banca del Giappone voglia rendere piu’ ripida della curva dei rendimenti per aiutare banche e fondi pensione. Si parla di una Operation Twist al contrario, con una modifica del piano di acquisto di titoli da parte della banca centrale che ridurrebbe la quantità di obbligazioni a lunga scadenza acquistate o venderebbe le obbligazioni a lunga scadenza che conserva in portafoglio, tagliando ancora i tassi di interesse a breve. Il mercato ha accelerato alla notizia e i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi trentennali sono saliti da 6 a 60 puntibase negli ultimi mesi. Questo fenomeno può avere ripercussioni globali poiché sappiamo che i bassi rendimenti obbligazionari a lungo termine e le curve dei rendimenti molto piatte non sono positivi per le banche e per gli istituti che puntano sul risparmio nel lungo periodo, come fondi pensione e compagnie di assicurazione. La Banca del Giappone si esprimerà a metà della prossima settimana.

DALL’AUSTERITA’ A UN APPROCCIO NEUTRALE, E POI? – Poi c’è la Banca Centrale Europea che la scorsa settimana non ha annunciato nuove misure, deludendo i mercati, spiega Iggo. È come se le dimensioni dello stato patrimoniale della banca centrale fossero diventate un segnale fondamentale per gli operatori del mercato: per continuare a far scendere i rendimenti, la banca deve continuare ad aumentare il ritmo degli acquisti di titoli. Si potrebbe pensare, e sono d’accordo anch’io, che andare alla ricerca di un nuovo calo dei rendimenti in Europa sia da pazzi in questo momento, ma i mercati sono così. Hanno una posizione al rialzo sulle obbligazioni e fanno affidamento sulle distorsioni provocate dalla banca centrale per continuare a evitare ingenti perdite a breve termine. Questa settimana hanno avuto luogo i nostri incontri trimestrali sullo scenario macroeconomico del mercato obbligazionario, ed è risultato piuttosto evidente che gli esperti credono che il Quantitative Easing continuerà in Europa e sarà prorogato oltre marzo 2017. In realtà, la BCE ha ancora una posizione dominante sui mercati e i suoi acquisti di obbligazioni societarie fanno scendere gli spread di credito, sia per i titoli che rientrano nel piano di acquisto, sia per gli altri titoli che comunque attirano l’interesse degli investitori a caccia di rendimento. Non è chiaro se la BCE sarà in grado di modificare la composizione degli acquisti di titoli, per cui i rendimenti dei Bund potrebbero trovarsi ancora in territorio negativo una volta conclusa questa fase di turbolenza.

LE DECISIONI DELLA FED – La Federal Reserve probabilmente non alzerà i tassi di interesse a settembre, come confermano i dati più recenti non particolarmente brillanti. Seguire le mosse della Federal Reserve inizia, secondo me, a diventare noioso e il suo approccio nel riportare i tassi di interesse su livelli più neutrali non sembra rappresentare una minaccia. Il rischio più grave in questo momento è un errore di politica monetaria politico se l’inflazione inizierà a salire. La Banca d’Inghilterra ha mantenuto i tassi invariati questa settimana, ma è solo all’inizio di una nuova fase di allentamento, pertanto non dobbiamo aspettarci grandi sorprese. Nonostante i dati appaiano abbastanza positivi dopo il referendum, l’economia nel lungo periodo probabilmente risentirà della rottura degli accordi commerciali, in caso si porti avanti la linea dura sulla Brexit. Si tratta di un fenomeno strutturale e non ciclico, dovremmo dunque valutare le prospettive per diversi settori dell’economia, soprattutto nel manifatturiero che dovrà affrontare diverse sfide nel lungo termine in un mondo che cambia sul fronte della concorrenza, delle norme e della catena di fornitura. Per il momento, la Banca d’Inghilterra potrebbe persino tagliare i tassi e nel breve termine spremerà il mercato britannico delle obbligazioni societarie come sta accadendo in Europa, aggiunge Iggo.

IL QE E’ COME UNA DROGA – L’instabilità del mercato obbligazionario è dunque giustificata di fronte a un cambiamento radicale della politica monetaria? In un certo senso, sì, risponde Iggo. Questa fase ci ha ricordato che i mercati dipendono molto dal QE e dai tassi negativi, e anche se non prevediamo cambiamenti rilevanti a livello politico, sappiamo che a un certo punto i mercati dovranno trovare un nuovo equilibrio dopo il QE, presumibilmente quando crescita e inflazione si troveranno su livelli più sicuri. Le obbligazioni sono costose, le curve dei rendimenti troppo piatte e l’inflazione probabilmente salirà. L’incremento di volatilità potrebbe essere provocato da queste periodiche ondate di panico poiché chi detiene obbligazioni in portafoglio, ad ogni fase di ribasso del mercato, sarà spinto a credere che sia duratura.

SENZA FRENI – C’è spazio per un profondo cambiamento delle politiche nel breve termine? Finora tutte le discussioni su un utilizzo più attivo della politica fiscale sono finite in una bolla di sapone, ma non per questo vanno ignorate. Il Giappone potrebbe essere il primo a sperimentare un allentamento della politica fiscale abbinato al desiderio della banca centrale di far irripidire la curva dei rendimenti e ampliare il QE. Il risultato potrebbe essere una curva più ripida, uno yen più debole e quotazioni più alte sui mercati azionari. Il Regno Unito potrebbe procedere a un allentamento della politica fiscale con l’Autumn Statement, e di fatto non sappiamo come sarà lo scenario fiscale negli Stati Uniti nel 2017, potrebbe essere irresponsabilmente aggressivo con Trump o più modestamente mirato con la Clinton. In Europa, la portata degli stimoli fiscali è contenuta dalla riluttanza della Germania e dai limiti dell’architettura fiscale. Non dobbiamo dimenticare che la maggior parte dei paesi dell’Area Euro non è nelle condizioni di operare uno stimolo fiscale di ampia portata per via del rapporto tra debito e Pil e il deficit di bilancio (credo che lo stesso si possa dire per quasi tutti i paesi sviluppati con poche eccezioni). La politica fiscale non rappresenta più un freno per la crescita ma non offre neppure un contributo positivo.

DOVE STANNO I RISCHI? – Non giungeremo a una grande intesa tra le autorità fiscali e le banche centrali, tale da finanziare un’ondata di investimenti in infrastrutture pubbliche volti a incrementare la produttività nel lungo termine attraverso l’emissione di obbligazioni a lunga scadenza acquistate dalla banca centrale nell’ambito del QE. O meglio, non è così ovvio. Il Giappone probabilmente è l’economia che può avvicinarsi di più a questo risultato. Per le obbligazioni sta diventando però sempre più difficile restare su valutazioni così estreme, dal momento che si mette in dubbio l’efficacia del piano di acquisti e si parla anche di apportare qualche cambiamento. Resta da vedere se questo significherà un irripidimento delle curve, un sostegno per le obbligazioni periferiche oppure un aumento dell’offerta di titoli di Stato. Una cosa è chiara, lo scenario macroeconomico non sosterrà necessariamente la massima compressione dei premi a termine che abbiamo registrato avuto di recente. Le banche centrali continueranno ad avere un ruolo dominante nei mercati obbligazionari nel prevedibile futuro. Tuttavia, secondo me sarà ricompensato chi si concentra sulla protezione, e non chi prevede guadagni ancora molto alti, conclude Iggo.

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