Francesco Tarabini Castellani (Vontobel): il quarto atto della crisi

La crisi finanziaria globale, che affonda le radici negli anni ’90, è ormai arrivata nella sua quarta fase, che prevede il passaggio dei debiti dagli stati agli organismi sovranazionali. Questa la lettura di Francesco Tarabini Castellani, Country Head per l’Italia di Vontobel, che analizza in particolare il ruolo e le possibili reazioni della Banca Centrale europea in questo particolare frangente.

“L’inizio dell’attuale crisi finanziario-economica, come più volte accennato, può essere posto a meta degli anni ’90, periodo in cui il governo statunitense favorì al massimo il settore immobiliare (il programma “una casa per tutti”) incentivando l’acquisto di abitazioni private grazie ai bassi tassi, alle agevolazioni sui mutui (i due colossi americani Freddy Mac e Fannie May erano i motori e garanti di questo sviluppo) e alla crescita del mercato borsistico che, facendo apparire i cittadini più ricchi e il loro immobile di maggior valore si indebitavano ulteriormente spingendo i consumi americani e mondiali.

Il primo tentativo di levereggiare oltre natura la crescita borsistica convincendo il mondo che internet e le nuove società con esso nate avrebbero portato ad un nuovo mondo era fallito agli inizi del secolo con lo scoppio della bolla. Il secondo tentativo – se guardate il grafico dell’S&P500 dal 1995 al oggi avete un panorama perfetto al riguardo – di ripompare la crescita col circolo “virtuoso” bassi tassi – crescita immobiliare – crescita borsistica – alti consumi aveva riportato il mercato azionario di nuovo ai massimi del 2000.

L’atto finale di questa crescita veniva nel momento in cui, indebitato totalmente il settore privato si erano cartolarizzati questi debiti (inclusi quelli di persone senza lavoro ne proprietà) trasformandoli in investimenti dotati addirittura di rating di bontà elevatissima e vendendoli alle banche ed enti pubblici ma non solo, perchè chi produceva questa droga era talmente convinto della sua bontà che se ne cibava egli stesso (!). Fase due: il problema era passato dai privati alle banche.

La fine di questo ballo alla “alligalli” è segnato dal fallimento della banca d’affari Lehman che ben conosciamo tutti. La fase tre della crisi ha visto gli stati intervenire per salvare le banche acquistando i titoli spazzatura nonché buona parte delle banche stesse. La terza fase ha coinciso con una massiccia monetizzazione del debito ossia l’acquisto di grossi quantitativi di titoli del debito pubblico da parte delle autorità monetarie provocando l’aumento della moneta in circolazione.

La FED americana è stato il principale attore di questa manovra coi due  “quantitative easing” che l’ha portata ad avere anche più di 2’000 miliardi di dollari di titoli di debito. Ma la FED non è l’unica: la Bank of Japan pratica attivamente il QE così come la Bank of England, che potrà a breve lanciare un altro round considerando le parole del cancelliere UK George Osborne nella recente intervista in occasione di   un meeting dei ministri G7 a Marsiglia.

Al centro dell’attenzione è però ora il comportamento della BCE, banca centrale europea al centro di una crisi di stabilità che parte dalla zona euro per allargarsi a tutto il mondo. Alla fase tre per l’Europa sta subentrando la fase quattro della crisi: i debiti stanno passando – dopo esser andati dai  privati (1) alle banche (2) e poi agli stati (3) – ora agli “organismi sovranazionali” (4). La BCE è forse l’unico caso di banca centrale che non funziona solo per un paese ma per una moltitudine di paesi con diverse costituzioni, parlamenti, leggi e regimi fiscali.

Gli stati europei non essendo più in grado di far fronte da soli alla crisi – pensiamo che oltre alla Grecia e all’Italia, schiacciata dalla speculazione, addirittura gli USA sono scampati per un pelo ad un  “autofallimento” che si stavano infliggendo da soli – l’autorità monetaria “europea”, la Banca Centrale Europea, sta finanziariamente provvedendo ad acquistare i debiti degli stati. E cosi la politica in BCE diventa politica europea: le dimissioni la scorsa settimana di Jürgen Stark da membro del Comitato Esecutivo ne è un chiaro segnale. Il Comitato esecutivo composto da presidente, vice presidente e 4 membri è responsabile per la politica monetaria dei 17 paesi membri dell’euro, e ciascuno dei 6 membri non agisce in nome del suo paese ma  per l’interesse dell’Eurozona.

Chiaro è che in una fase delicata come questa il sostenere o meno l’acquisto di titoli di stato di paesi in difficoltà come Grecia Italia o Spagna – accelerati dall’inizio di agosto (+55 miliardi di euro) – ha chiari risvolti politici e pare sia stato il vero motivo delle dimissioni di Stark, che, unite a quelle a inizio anno del presidente della Bundesbank Axel Weber, fanno pensare alla perdita degli stretti principi monetari tedeschi nella policy  della BCE. Questo è uno dei motivi di indebolimento dell’euro di questi giorni. Il presidente del reputato Ifo di Monaco, Hans-Werner Sinn, ha accusato la BCE di aver violato i principi in base ai quali la Germania aveva accettato l’euro. Finora un preminente membro della Bundesbank era sempre stato in BCE (Otmar Issing dalla fondazione della BCE nel 1998 fino al 2006 e poi Stark).

Il sostituto nominato,  sul quale non vi è ancora consenso definitivo, è il tedesco Jörg Asmussen, membro del partito socialista tedesco all’opposizione, e braccio destro del ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, forse più un “crise manager” che un banchiere centrale. Questa quarta fase che di fatto è gia iniziata, è contrastata da diversi esponenti tedeschi. La corte costituzionale tedesca nei dettagli della sua dichiarazione  degli scorsi giorni esclude che il governo abbia potere di delegare a  terze parti (in nuovo Fondo Salva stati del 2013 -ESM – o un’ipotetica  agenzia di debito europea che emetterebbe Eurobond) potere sovrano. Comunque la si metta la Germania avrebbe bisogno di un referendum per   cambiare la propria costituzione per salvare l’euro. I tedeschi voterebbero di sì per salvare Grecia & Co. in un referendum? Al   momento il baluardo che rimane per salvarci da una possibile depressione è la BCE, ove tra breve si insedierà il nuovo governatore Mario Draghi.

Quanto ai mercati, la settimana scorsa è passata ancora in ottovolante con borse che hanno perso l’1,68% in USA, il 3,65% in Europa e il  2,89% sui mercati emergenti. Tutti i settori in negativo  col primato dei finacials al -5,30% per la paura legata al rischio  default Grecia e insicurezza Italia”.

Il dollaro per i motivi sopra esposti e come trend ormai consolidatosi  negli ultimi anni si è rafforzato sull’euro scendendo sotto quota 1,40, mentre i rendimenti US e Bund scendono ulteriormente. L’indice  di rischiosità il VIX è salito di un altro 11% avvicinandosi ai 40. Gestionalmente settimana scorsa siamo rimasti e rimaniamo tuttora  molto prudenti sia come quota azionaria che come duration, valutando  attentamente la situazione per coglierne finanziariamente le opportunità.

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