Etf, maneggiare con molta cura

Sapete davvero tutto sugli exchange traded fund? Ricapitoliamo. Una delle principali caratteristiche di questo strumento è la gestione passiva, che consiste nel replicare esattamente e fedelmente la composizione – e di conseguenza, il rendimento – del proprio benchmark, cioè dell’indice del mercato di riferimento. Dunque, lo strumento finanziario deve seguire il più fedelmente possibile il proprio indice di riferimento, tenendo conto anche degli eventuali proventi staccati dall’indice stesso.

Una tale strategia è attuata in maniera ottimale se i rendimenti e la volatilità dello strumento finanziario e del benchmark di riferimento sono identici sia nel breve che nel lungo periodo. Un etf, quindi, permette di investire su un indice – azionario oppure obbligazionario, geografico o settoriale – attraverso un’unica operazione di vendita o di acquisto. Inoltre, se consideriamo che i fondi a gestione attiva presentano costi di gestione sostanzialmente più elevati rispetto ai quelli passivi, e che questi ultimi permettono una maggiore efficienza fiscale, dovuta al minor turnover dei titoli posseduti in portafoglio, la conclusione logica è che i fondi indicizzati generano delle performance, al netto delle spese di gestione e delle imposte, superiori a quelle dei fondi attivi.

Dal punto di vista squisitamente tecnico, la funzione di indicizzazione degli exchange traded fund ha come obiettivo, al pari di ogni altro index fund tradizionale, quello di realizzare un tracking error, dato dalla differenza tra rendimento del fondo e benchmark di riferimento, prossimo allo zero. Tale attività di benchmarking può essere svolta mediante il ricorso a due metodi di replica. Vediamoli. Il primo metodo è quello della “full replication”. In poche parole, l’attività di indicizzazione si esplica attraverso una replica assoluta dell’indice in termini di asset detenuti.

Altra strada è quella offerta dalla “representative sampling”: consiste nel cercare di ottenere un’indicizzazione del portafoglio, a costi più contenuti, mediante una replica parziale dell’indice utilizzando tecniche di campionamento statistico che permettono di selezionare panieri ridotti di titoli caratterizzati da forte omogeneità, in termini di liquidità e capitalizzazione, rispetto a quelli dell’indice sottostante. Entrambe le tecniche perseguono il medesimo obiettivo, seppure con costi di gestione e rischi diversi.

Da un lato, la “full replication” propone una certezza di indicizzazione del fondo a fronte del sostenimento di costi maggiori spiegati nell’acquisto della totalità dei titoli componenti il benchmark. Dall’altro, le tecniche di sampling tendono a offrire lo stesso risultato con costi minori, esponendo tuttavia l’investitore a un maggiore rischio di replica del benchmark. Come per qualsiasi fondo indicizzato, esistono anche per gli etf limiti e difficoltà all’attività di benchmarking in grado di incidere sulla reale efficacia.

Questi limiti possono essere così sintetizzati: innanzitutto, vincoli legislativi di allocazione dettati dall’esigenza di diversificazione minima dell’investimento a tutela del sottoscrittore e del sistema finanziario. Questi variano da prodotto a prodotto: in genere, si prevede un investimento massimo del 90 per cento del fondo negli asset detenuti all’interno dell’indice sottostante, mentre il restante 10 per cento è investito in liquidità o azioni diverse da quelle componenti il benchmark, limite massimo all’allocazione del fondo in una singola società emittente.

Per esempio, nel caso degli etf denominati iShares MSCI, il fondo non può investire nel singolo titolo una quota superiore al 25 per cento del proprio patrimonio: vincolo rappresentato dalla mancata possibilità di reinvestimento dei dividendi maturati dalle azioni componenti il benchmark. Gran parte degli exchange traded fund presenti sul mercato non prevede infatti l’opzione di reinvestimento immediato dei dividendi, i quali vengono invece ridistribuiti ai sottoscrittori trimestralmente.

Un altro elemento fondamentale dell’etf è la sua armonizzazione, che rappresenta un criterio importante per la sua selezione ed è fondamentale per determinarne la diversa imposizione fiscale. Gli etf armonizzati sono tassati al 12,5 per cento dal sostituto d’imposta, al momento dell’incasso dei relativi proventi, senza obbligo di portarli in dichiarazione. Diversa è la tassazione degli etf non armonizzati, ovvero tutti quegli etf che sono quotati sui mercati non europei, come per esempio l’Amex, i cui proventi vanno portati in dichiarazione e tassati all’aliquota Irpef dell’investitore.

Sono armonizzati tutti quegli strumenti finanziari conformi alle direttive europee e quindi contrassegnati dalla sigla Ucits che, lo sappiamo, sta per undertakings for collective investment in transferable securities. Piccola distinzione: se conformi alla direttiva europea 85/611/CEE, sono contrassegnati dalla sigla UCITS I, mentre se risultano conformi alle direttive europee 2001/107/CEE e 2001/108/CEE sono contrassegnati dalla sigla UCITS III. Per l’armonizzazione, la valuta dello strumento finanziario è influente.

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