La Chiesa dice la sua sulla crisi

Articolo di Fabrizio Tedeschi

Il Pontificio consiglio giustizia e pace è intervenuto con una nota sull’attuale crisi dell’economia e dei mercati finanziari in particolare. Sui media sono apparsi brani della nota molto spesso scelti secondo gli orientamenti dell’articolista, ponendo in risalto ora l’uno ora l’altro aspetto trattato più che uno sguardo d’insieme su tutto il documento. È bene chiarire subito che non si tratta di una verità della fede proclamata dal Papa in comunione con tutti i vescovi e con tutti i requisiti. Si tratta di un documento redatto da persone sagge ed esperte che trae spunto dal Magistero e in particolare da alcune encicliche.

Per questo riveste notevole valore morale, ma non è una verità della fede. Questo significa che può essere discusso e contestato anche da buoni cristiani senza rinunciare alla fede. Ad esempio, tutto l’excursus storico e i conseguenti giudizi sono per loro natura opinabilissimi per il semplice fatto che la storia in sé non è mai univoca e si presta sempre a diverse interpretazioni o, se si preferisce, punti di vista. Si è sostenuto che la nota sia contro il liberismo economico poiché almeno in due punti ben precisi gli viene addebitata una parte notevole delle cause di questa crisi. Sono affermazioni condivisibili, ma in realtà non riguardano il liberismo in quanto tale, ma una sua precisa interpretazione o, addirittura, maldestra applicazione. Si tratta di un “liberismo senza regole e senza controlli”. Ciò è tanto vero che nella stessa nota si parla in termini positivi di mercati liberi.

Quando si auspicano “condizioni socio-economiche, politiche e giuridiche, indispensabili anche all’esistenza di mercati efficienti ed efficaci, perché non iperprotetti da politiche nazionali paternalistiche, perché non indeboliti da deficit sistematici delle finanze pubbliche e dei Prodotti nazionali, che di fatto impediscono ai mercati stessi di operare in un contesto mondiale come istituzioni aperte e concorrenziali”, siamo nell’ambito di un sano e convinto liberismo, di quello vero, concorrenziale della libertà di commercio. E ancora più avanti quando, tra l’altro, s’invocano “politiche volte alla realizzazione di mercati liberi e stabili”, è evidente che non possono esistere mercati liberi se non in un’economia libera.

Il punto è un altro. L’uomo non è il buon selvaggio della mistificazione di Rousseau, ma è l’homo homini lupus descritto da Hobbes. Proprio per ovviare a questo stato negativo devono esistere le norme senza le quali l’uomo commetterebbe normalmente il male. L’economia classica, tramite le proprie regole, cerca di sfruttare il male che è nell’uomo per trarne buoni frutti, come riconosce la stessa nota: “quella impostazione teorico-pratica per cui: “l’utile personale conduce al bene della comunità” …una simile “massima” contiene un’anima di verità. Ovviamente non basta. Il punto principale non è costituito da questi, se si vuole, tecnicismi. Il punto centrale del documento è costituito dal forte richiamo all’etica, al primato dell’etica sull’economia. “L’economia, infatti, – osserva il Pontefice – ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento…”.

Don Sturzo, personaggio ancora oggi non adeguatamente conosciuto, sosteneva che non esiste l’economia senza etica, anzi affermava: “l’economia senza etica è diseconomia”. Questo è il punto centrale del problema: dalla crisi si può uscire solo facendo leva su valori di carattere etico/morale. I principi e le teorie esclusivamente economici e tecnici non sono sufficienti. Da soli, anzi, devono essere considerate dannosi. Questo è il vero messaggio della nota, dal quale deve partire ogni riflessione. In merito alle proposte formulate, abbiamo già avuto modo di intrattenerci e su alcune (tassazione delle transazioni finanziarie e relative conseguenze) dissentiamo, ma questo non c’impedisce di rimanere credenti e praticanti.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!