Venture Capital, il trend è di consolidamento

Gli spin off universitari fanno ancora troppa fatica a consolidarsi. Il processo di trasformazione tecnologica dall’ambito universitario a quello di nuove imprese, insomma, è ancora molto indietro nel Paese anche perché, nel corso del 2011, hanno in parte perduto le posizioni conquistate nel 2010 ai danni delle iniziative private. Con queste parole Innocenzo Cipolletta, nella nuova veste di presidente dell’Aifi, ha inaugurato oggi a Milano il Vem 2011, fotografia del venture capital italiano tracciata da Aifi in collaborazione con Sici, Dedalus, Bird&Bird e Liuc alla IV edizione. E, nonostante dal risultato complessivo del 2011 emerge che nel nostro Paese ci sono state 43 nuove operazioni di investimento (+40% su base annua), in particolare dal punto di vista della disponibilità di risorse, l’Italia accusa un ritardo anche in questo settore, “fondamentale per un Paese che vuole crescere”, ha precisato Cipolletta.

Nel dettaglio, nel corso del 2011, il 44% delle 43 operazioni hanno avuto a che fare con il seed capital, mentre nel passato si è trattato perlopiù di start up. Comunque, mettendo in relazione il dato all’intero mercato degli investimenti iniziali in capitale di rischio italiani (128 operazioni) emerge che il segmento dell’early stage rappresenti oggi oltre un terzo dell’intero mercato e che questo settore si sia ulteriormente rafforzato nel corso del primo semestre. E anche per questo motivo, l’Aifi (associazione italiana del private equity e del venture capital), si attende un anno di consolidamento nel comparto in questione. Nel complesso, guardando allo storico, dal 2004 a fine 2011, le società partecipate sono 183, di cui circa l’86% ancora in portafoglio.

Quanto agli spin off universitari, lo scorso anno la distribuzione per deal origination ha visto queste ultime risalire al 79% del totale (64% in 2010) mentre gli spin-off universitari sono calati al 16% dal precedente 26%. Il restante 5% (10%) è invece ad appannaggio dei corporate spin-off. Dal punto di vista della geografia, si scorre nell’indagine, emerge che nel corso del 2011 cinque operazioni hanno riguardato aziende siciliane, a fronte delle nove registrate dal 2004 al 2010. Del resto, per gli investimenti nel sud Italia, sono stati creati fondi di venture capital appositi. Ma la graduatoria è guidata, come di consueto, dalla Lombardia (12 operazioni) e dalla Toscana (9), che insieme rappresentano circa il 50% dei deal complessivi registrati lo scorso anno.  Quanto alla distribuzione settoriale delle società target, il settore dell’Ict (Information and Communication Technology) domina la classifica e detiene, da solo, circa il 40% del mercato. Seguono i beni per l’industria e le energie rinnovabili, mentre scompaiono del tutto costruzioni, intrattenimento e nanotecnologie.

Parecchie operazioni, secondo quanto ha sottolineato il responsabile dell’Osservatorio, Jonathan Donadonibus, “hanno riguardato siti internet specializzati nel segnalare offerte a buon prezzo agli utenti finali, nei vari settori merceologici”.  Francesco Torelli, avvocato dello studio Bird&Bird che ha ospitato la presentazione, ha invece osservato come la forma giuridica preferita delle società target resti ancora la srl, che rappresenta il 56% del totale. “Il vantaggio è sia in termini economici sia in snellezza di gestione”, ha commentato Torelli, aggiungendo che quasi per tutte il capitale sociale è inferiore a 50 mila euro. Inoltre, il 72% delle tipologie di partecipazioni acquisite riguarda azioni di categoria speciale o quote che godono di particolari diritti, primo tra tutti quello di veto e la presenza in cda per monitorare l’andamento del business. Il fatturato medio delle società in cui si è investito è di circa 1,5 milioni di euro, realizzato con una forza lavoro di 11 persone. 

In un contesto ancora caratterizzato da difficile liquidabilità delle società, la disciplina dell’exit ha poi fatto sì che nel 52% delle operazioni analizzate sia stata privilegiata la soluzione contrattuale della cessione del 100% delle aziende e finalizzata ad evitare che l’imprenditore possa cedere la propria quota senza l’assenso dell’investitore. Nel contempo, perdono progressivamente terreno mandati a vendere e quotazioni, entrambi al 7%.  Infine, in relazione alla dimensione media dei deal, gli operatori di venture capital attivi in Italia hanno investito in media un milione di euro nel 2011 per rilevare una quota di partecipazione di circa il 40%. E al momento dell’ingresso dell’investitore, le società target avevano una vita media di due anni.

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