Democratici e Repubblicani divisi sul fiscal cliff

“Dopo le lezioni in USA, la priorità assoluta per il presidente ed il congresso è di evitare il cosiddetto fiscal cliff, ovvero il precipizio fiscale previsto per la fine dell’anno innescato dalla scadenza contemporanea degli sgravi fiscali e dall’entrata in vigore di tagli automatici alla spesa pubblica. Tale combinato disposto, infatti, minaccia di far sprofondare l’economia in una recessione”, come spiega Alberto D’Avenia, Responsabile Distribuzione esterna di BNP Paribas Investment Partners

Il problema è che Democratici e Repubblicani non sono d’accordo su come evitare questo pericolo. Il presidente Obama potrebbe tentare di perseguire con maggior vigore i propri obiettivi in campo economico e, qualora i Repubblicani non cooperassero, verosimilmente l’opinione pubblica li riterrebbe responsabili del fallimento. A nostro avviso l’esito più probabile sarà una proroga per gran parte degli sgravi fiscali e il rinvio dei tagli alla spesa pubblica. 
 
“Questa soluzione però significherebbe che il precipizio sarebbe stato solo evitato, senza tuttavia risolvere il problema. Gli Stati Uniti toccheranno il nuovo limite del debito pubblico nel febbraio o nel marzo dell’anno prossimo, e a quel punto potrebbero verificarsi notevoli perturbazioni dei mercati finanziari. Non è escluso che le agenzie di valutazione procedano ad un declassamento del rating assegnato al debito sovrano degli USA, ma riteniamo che un’eventuale decisione in tal senso non dovrebbe avere ripercussioni serie”. Inoltre, una soluzione temporanea potrebbe lasciare una situazione incerta, relativa all’evoluzione delle politiche di bilancio. “A nostro avviso l’anno prossimo vi sarà un lieve aumento della pressione fiscale, ma sono soprattutto le incertezze al riguardo che potrebbero avere le conseguenze più rilevanti” prosegue D’Avenia. 
 
Secondo di dati di Bloomberg, Obama è stato rieletto in presenza del tasso di disoccupazione più elevato dai tempi di Franklin Roosevelt nel 1936. Tuttavia il numero dei nuovi posti di lavoro creati in media negli ultimi tre mesi si attesta a quota 170.000, ovvero su un livello superiore al dato medio registrato dal gennaio del 2010, quando il mercato del lavoro ha mostrato i primi segnali di ripresa. 
 
“Persino il lieve incremento del tasso di disoccupazione registrato di recente può essere interpretato positivamente: infatti, l’aumento più rapido della forza lavoro rispetto alle possibilità di impiego segnala che i disoccupati che avevano rinunciato a cercare un’occupazione stanno tornando sul mercato del lavoro. L’ampio serbatoio di forza lavoro disponibile potrebbe far stazionare il tasso di disoccupazione su livelli relativamente elevati, persino qualora la creazione di nuovi impieghi registrasse cifre discrete, e continuerà a frenare i salari. Tale andamento dovrebbe favorire i profitti delle società, ma ostacola la crescita dei redditi delle famiglie e del potere d’acquisto e non consente o scoraggia i consumatori dal contrarre dei debiti sul valore della propria abitazione. Pertanto, malgrado il miglioramento della fiducia dei consumatori, il margine di rialzo delle vendite al dettaglio pare limitato”. 
 
“I dati rilevati dall’indagine ISM segnalano prospettive contrastanti. La componente relativa alle assunzioni ha frenato ma è rimasta in territorio positivo, mentre quella relativa ai nuovi ordinativi è migliorata. L’indice del settore non manifatturiero si è complessivamente indebolito, ma le intenzioni di occupazione sono migliorate. L’indice composito, al momento, segnala una crescita del PIL degli USA inferiore al 2%”.
 
Vari indicatori hanno mostrato che il rallentamento economico di numerosi paesi asiatici è vicino ad un’inversione di tendenza, e infatti il PMI della Cina segnala un graduale miglioramento della crescita. Pare che l’eventualità di una brusca frenata dell’attività economica sia diminuito, ma non riteniamo che questo rischio sia stato del tutto scongiurato. 
 
Gli indici PMI hanno registrato miglioramenti in India, Australia, Corea del Sud, Taiwan ed Hong Kong. In Brasile, l’indice PMI è salito oltre quota 50 per la prima volta dal mese di marzo, mentre ha fatto segnare un balzo in avanti in Messico, un’economia strettamente legata a quella degli USA. Per quanto riguarda i paesi dell’Europa emergente, quelli che dipendono in maniera più stretta dell’economia della zona euro nel complesso hanno registrato gli andamenti peggiori. 
 
“Le ultime previsioni pubblicate per il 2013 dalla Commissione Europea hanno riservato notevoli cambiamenti rispetto alle stime precedenti: la crescita del PIL, infatti, è stata corretta al ribasso passando dall’1,0% allo 0,1%, mentre l’inflazione dovrebbe mantenersi all’1,8%. L’aggiornamento delle stime prevede una disoccupazione media più alta, dall’11% all’11,8%, e un ampliamento di deficit e debito pubblico in numerosi Stati membri dell’UE”, conclude D’Avenia.
 

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