Fondi pensione – La questione delle pari opportunità

I fondi previdenziali di nuova generazione puntano sulla disparità di trattamento tra uomini e donne. Nulla di discriminatorio; semplice valutazione sulla base della normativa vigente. Le forme previdenziali nate negli anni 90, prevedono prestazioni differenziate a seconda dell’appartenenza all’universo maschile o femminile. Analizziamone il perché.

Su Il Sole 24 ore si procede a d una analisi della questione. La differenziazione possiede una ragione precisa. I fondi ante anni 90 (ovvero precedenti alla riforma Dini) sulla base di un politico “processo risarcitorio” nei confronti delle lavoratrici (anche per il lavoro domestico a loro carico), allineano le prestazioni a loro dedicate a quelle dei colleghi maschi. I fondi più recenti negano invece questa parità di trattamento; l’erogazione viene delegata a compagnie assicurative che provvedono al calcolo della stessa sulla base dell’aspettativa di vita degli iscritti, ovviamente maggiore nel caso del gentil sesso. Infatti, secondo le stime della Ragioneria Generale dello Stato l’aspettativa di vita media corrisponde a 78,1 anni per gli uomini e 83,7 per le donne; a questo punto la compagnia assicurativa rapporta il montante accumulato durante il periodo lavorativo, a questo valore statistico.

Due modelli frontalmente opposti, con rispettivi sostenitori; a titolo di esempio Intesa punta al rinnovo mentre UniCredit sta aggregando le diverse casse di secondo pilastro intorno al proprio fondo maggiore, a capitalizzazione collettiva uniformata. Stiamo parlando di una forma di ingiustizia? Più che altro viene meno il principio solidaristico, rimpiazzato con meritocrazia su base statistica. Il concetto di “giustizia” può applicarsi a entrambi e al tempo stesso nessuno. Questioni da caffè socio-filosofico.

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