Brexit o non Brexit?

A cura di Valentijn van Nieuwenhuijzen, Chief Strategist and Head of Multi Asset di NN Investment Partners
Esistono tipologie di shock che si manifestano dal nulla e che in un primo momento possono solo essere assorbiti, per poi essere affrontati successivamente. Questi sono quelli che Nassim Taleb definisce “Cigni Neri”. Alcuni eventi, tuttavia, possono essere meglio descritti come “Cigni Grigi”. Si tratta di avvenimenti visibili all’orizzonte, di cui però è estremamente difficile capire in che direzione si muoveranno. Tuttavia, è possibile stimare in termini qualitativi la probabilità di eventuali movimenti e anticipare l’impatto di questi sul mercato.
Al momento, il più importante Cigno Grigio da valutare è il referendum sulla Brexit previsto per il 23 giugno poiché le tempistiche, la probabilità che il Regno Unito esca dall’UE e l’impatto potenziale di un’eventuale Brexit rendono urgentemente necessario farsi un’opinione al riguardo. Tuttavia, comprendere cosa stiano esattamente prezzando i mercati in termini di rischio Brexit non è così semplice, poiché ci sono molti altri fattori in gioco. La valuta inglese si è indebolita così tanto dalla fine dell’anno scorso a causa dell’aumento di un rischio Brexit o di un rafforzamento dell’euro e di un passaggio a un atteggiamento da colomba in termini di politica monetaria da parte della Bank of England? E quale ruolo hanno giocato le forti rotazioni nel comparto delle materie prime e nei mercati dei Paesi Emergenti nei confronti delle prospettive di crescita del Regno Unito e dell’attrattività dei suoi asset (in particolare l’azionario)? E’ difficile trovare delle risposte semplici a tali domande.
Tuttavia, sembra giusto affermare che i premi al rischio del Regno Unito sono aumentati negli ultimi mesi e probabilmente parte di questa crescita è stata dovuta a un rischio Brexit maggiore. Dunque, più che fornire un’indicazione chiara sul livello di rischio legato alla Brexit, l’evoluzione degli asset del Regno Unito suggerisce che, ultimamente, i rischi siano aumentati. Una visione un po’ più chiara sulla probabilità di una Brexit può essere ricavata dai sondaggi, dai mercati di scommesse e dai bookmakers. Attraverso tali fonti, infatti, è possibile osservare un range di probabilità tra il 25% e il 45%, con i mercati di scommesse che riportano le percentuali più basse e i sondaggi quelle più alte. In pratica, la probabilità di una Brexit di recente sembra essere aumentata, ma forse “solo” fino a circa il 35%.
Il nostro scenario base prevede che gli abitanti del Regno Unito voteranno a favore della permanenza nell’Unione Europea. Dopo tutto, gli inglesi potranno pure essere euro-scettici per natura ma sono anche piuttosto pragmatici. Il dibattito tra ‘rimanere’ e ‘lasciare’ si sviluppa moltissimo sulla base di queste due caratteristiche. Coloro che vogliono rimanere mettono l’accento sull’aspetto pragmatico, che in buona parte si riduce al fatto che restare nell’UE è la scelta migliore per il benessere economico del Paese e aiuta anche a preservare i benefici derivanti dalla cooperazione in aree come la sicurezza, l’anti terrorismo e la lotta alla criminalità. Allo stesso tempo, coloro che sono per l’uscita dall’Unione tendono a risultare euroscettici e fanno leva sui vantaggi derivanti da una maggiore sovranità nazionale. In un certo senso, ciò si traduce nella percezione che, se il Regno Unito non fosse più frenato dalle procedure e dalle regole ingombranti imposte da Bruxelles, sarebbe in grado di adattarsi con più flessibilità e velocità ai cambiamenti globali.  Non si dovrebbe sottovalutare quanto sia radicato questo desiderio di maggiore sovranità.
In sostanza, riteniamo che queste impressioni non si basino su dati reali e che per il Regno Unito sarebbe molto più difficile se fosse al di fuori dell’Unione, peraltro senza tutti quei benefici in termini di aumentata sovranità. E’ estremamente difficile dire con precisione cosa succederebbe in caso di Brexit, in quanto il tutto dipenderebbe in buona parte dai “termini del divorzio”. E’ probabile che l’UE voglia far sì che tali termini siano i più svantaggiosi possibili per il Regno Unito, poiché l’intenzione è quella di dare un esempio: un’eventuale uscita dovrebbe essere il più costosa possibile, in modo da scoraggiare altri Paesi membri dal fare la stessa cosa. Dopo tutto, l’eventualità di una Brexit non solo potrebbe portare a un’ulteriore disgregazione politica all’interno del Regno Unito, ma l’incertezza politica potrebbe anche espandersi oltre la Manica, incoraggiando altri Paesi membri a volere l’indipendenza.
Un’eventuale Brexit, a nostro avviso, avrebbe conseguenze più negative per il Regno Unito che per l’Unione. Le esportazioni verso gli altri Paesi membri rappresentano generalmente circa il 12% del PIL del Regno Unito, mentre le esportazioni dei Paesi UE verso il Regno Unito rappresentano il 2-3% del PIL. Una Brexit comporterebbe quindi un colpo irripetibile al livello delle esportazioni e potrebbe avvicinare pericolosamente il Paese a una recessione. Inoltre, potrebbe anche verificarsi una perdita significativa degli investimenti esteri diretti nel Regno Unito, mentre gli investitori internazionali potrebbero richiedere un premio al rischio maggiore sugli asset UK e la sterlina potrebbe subire ulteriori deprezzamenti.
Dunque, emozione e sentiment giocano un ruolo importante all’interno di questa partita. Nel complesso, ciò che dovremmo capire è se gli abitanti del Regno Unito vorranno o meno puntare a ottenere nuovamente il pieno potere nazionale. Se questa fosse una questione basata su un’analisi razionale su costi e benefici, è assolutamente chiaro che il Regno Unito non dovrebbe spingersi in quella direzione. Tuttavia, in politica (così come nei mercati e in economia) non si tratta quasi mai di razionalità, quanto piuttosto di emozione e sentiment.  Di conseguenza, il risultato alla fine potrebbe essere ben diverso.

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