Villani (Vontobel AM): “Battere il mercato è la nostra missione”

Dalle vetrate e dalla terrazza della sede italiana di Vontobel Asset Management, in Piazza degli Affari a Milano, la vista panoramica è suggestiva. Le architetture maestose di Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa Italiana, sono lì di fronte  in primo piano, con davanti la provocatoria scultura di Maurizio Cattelan.  E’ proprio lì, nel centro nevralgico della comunità finanziaria milanese, che la svizzera Vontobel AM ha spostato da qualche mese la propria branch a Sud della Alpi, per crescere ancora in un paese che negli anni scorsi ha dato già molte soddisfazioni al top management della società, essendo in Europa il secondo più importante mercato per tutto il gruppo, alle spalle ovviamente di quello della madrepatria. A dirigere le strategie nella Penisola, in quegli uffici a Piazza Affari, c’è un manager di lungo corso del risparmio gestito: Matteo Villani (nella foto sulla copertina dell’ultimo numero di ASSET CLASS), 50 anni, toscano di Cecina (Li), che in Vontobel è approdato nel lontano 2003, dopo un po’ di esperienze nella struttura commerciale di diverse aziende del settore. Prima l’esordio in Finanza&Futuro, alla metà degli anni ’90 del secolo scorso, poi il  passaggio in Franklin Templeton e in Zurich, quando il grande gruppo assicurativo elvetico aveva ancora una sua divisione di asset management. In oltre 20 anni di carriera, insomma, Villani è stato testimone di molte trasformazioni vissute dall’industria italiana del risparmio: l’arrivo Mifid, la prima versione della direttiva europea sui servizi finanziari e il suo successivo e più recente aggiornamento con Mifid 2. Poi  diverse crisi finanziarie internazionali che, in oltre quattro lustri, hanno inevitabilmente condizionato tra alti e bassi il settore dell’asset management.  E infine il lungo ciclo di crescita degli ultimi 5-10 anni, che ha riempito i portafogli di molte società di gestione con flussi di raccolta  assai  sostanziosi. Quanto durerà ancora questa fase positiva? “Non è facile fare previsioni”, dice Villani, “anche se sono convinto di una cosa: oggi gli investitori si trovano di fronte a un cambiamento di paradigma, in cui emerge inevitabilmente il valore aggiunto della gestione professionale del risparmio”.

 

In che senso, dottor Villani?

Intendo dire che la crescita registrata negli ultimi dieci anni dal settore del risparmio gestito ha alla base una ragione ben precisa. Con il calo dei tassi d’interesse, gli investitori sono stati messi di fronte a una realtà: il rendimento facile, quello che si otteneva senza fatica puntando sulle cedole delle obbligazioni o dei titoli di stato,  oggi non esiste più. Adesso il rendimento bisogna andare a cercarlo,  affidandosi appunto ai  prodotti del risparmio gestito.

 

La fase discendente dei tassi, però, è ormai al capolinea…

E’  vero. Ma ciò non significa ovviamente che dobbiamo aspettarci repentini rialzi del costo del denaro. Quando parlo di un cambiamento di paradigma, infatti, non mi riferisco soltanto alla politica monetaria ma anche alle profonde trasformazioni che ci sono nel nostro sistema produttivo.

 

Quali sono?

L’innovazione tecnologica sta rendendo disponibili molti beni di consumo a prezzi contenuti mentre la robotica e l’automazione, almeno nel breve periodo, stanno distruggendo posti di lavoro, con una conseguente pressione sulle retribuzioni. Con tale scenario di fondo caratterizzato da salari contenuti e bassa inflazione, dovremmo abituarci a convivere per molto tempo anche con bassi tassi d’interesse. Per questo prevedo ancora un futuro brillante per il risparmio gestito. Senza dimenticare un altro fattore importante che favorisce l’asset management: la necessità crescente in molti paesi di aumentare il tasso di risparmio previdenziale, in modo da colmare il gap creatosi con un sistema pensionistico pubblico sempre meno generoso.

 

Anche se la raccolta delle società di gestione crescerà, si intravede all’orizzonte una pressione sui profitti per gli operatori del vostro settore, sulla scia della concorrenza dei prodotti low cost e degli effetti della direttiva Mifid 2, che insiste molto sulla trasparenza dei costi degli strumenti finanziari. Non trova?

E’ uno scenario credibile e credo che porterà a una sorta di polarizzazione del nostro settore. Da una parte ci saranno i big player che punteranno molto sulla crescita dimensionale, con una vasta presenza internazionale e l’offerta su larga scala di prodotti standardizzati o a basso costo come gli Etf. Dall’altro lato ci saranno operatori più piccoli che sceglieranno di mantenersi  nell’alveo della gestione attiva, puntando su fondi ad alto valore aggiunto.  Chi si trova a metà strada rispetto a questi due modelli di business , chi non raggiunge le dimensioni adeguate né riesce ad avere un’offerta competitiva, rischia di avere molti problemi a sopravvivere.

 

Voi come avete deciso di posizionarvi?

Noi abbiamo scelto di essere gestori attivi con un’offerta altamente specializzata. Vogliamo dare un valore aggiunto al cliente perché riteniamo il risparmio qualcosa di molto importante, non di superfluo. E’ una capacità di spesa futura che il cliente ci affida. Per questo , il nostro compito consiste nell’essere in grado di offrirgli un rendimento superiore rispetto al mercato, maggiore di quello che il cliente stesso ottiene con strumenti finanziari che sceglie da solo.

 

Come si articolano le vostre strategie sul mercato italiano?

Siamo impegnati su tre fronti. Il primo è quello degli investitori istituzionali,  in particolare dei  fondi pensione e dalle casse di previdenza, un’area che ha ancora notevoli margini di sviluppo. Il secondo pilastro è rappresentato  dal canale retail, al quale non vendiamo i prodotti direttamente ma attraverso  le reti di consulenti finanziari . Infine c’è il canale intermediari, composto dai selezionatori di fondi per le gestioni patrimoniali o le polizze unit linked. Il nostro team è composto da circa 20 persone, gran parte sono nell’area commerciale ma abbiamo una unità di portfolio management anche a Milano: alcuni professionisti gestiscono infatti dei mandati per i clienti istituzionali e le strategie di un fondo di fondi, il Vontobel Multi Asset Solution, che è un prodotto nato e sviluppato proprio qui in Italia.

 

Ci sono dei prodotti e delle soluzioni su cui punterete particolarmente nei prossimi mesi?

Uno dei cavalli di battaglia sarà il nostro fondo Global Equity, un comparto azionario gobale  che investe un po’ alla Warren Buffet, cioè cerca società che hanno utili stabili o in crescita nel tempo e valutazioni interessanti sui listini. Un altro tema d’investimento interessante è rappresentato a nostro avviso dai mercati emergenti dove ci sono ancora opportunità e che copriamo con due fondi azionari e altri 4 obbligazionari. Sul debito emergente c’è per esempio un nostro fondo, il  Vontobel Fund –  Emerging Markets Debt, gestito da Luc D’hooge che ha un carry del 6-7%.

 

Per gli investimenti obbligazionari, a parte quelli dei paesi emergenti, qual è la vostra proposta?

Il nostro consiglio è soprattutto di scegliere strategie flessibili.  A questo proposito, ricordo che Vontobel AM ha acquisito una boutique finanziaria che si chiama TwentyFour, la cui strategia è quella del multisector investing, cioè che si concretizza nell’investire proprio in maniera flessibile in un ampio spettro di asset class. Un altro approccio consigliabile è quello global macro. In quest’ottica, abbiamo in fondo gestito da Hervé Hanoune che si chiama Vontobel Fund -Bond Global Aggregate e che riesce a distinguersi in termini di performance quando sui mercati c’è molta volatilità.

 

Oggi si parla molto delle trasformazioni che la tecnologia sta portando nel settore dell’asset management. In che modo Vontobel AM affronta questo tema?

Sul lato dell’offerta, stiamo sviluppando con un nostro partner un nuovo fondo tematico che investe sui trend di consumo della generazione dei millennial, i nativi digitali cresciuti a cavallo del cambio di secolo, che oggi hanno abitudini diverse rispetto a chi li ha preceduti, la cosiddetta generazione X e quella del baby boomer.

In cosa consistono queste differenze?

Ciò che distingue i millennial è principalmente la loro maggiore propensione alla sharing economy, a consumare e condividere servizi, piuttosto che a possedere beni come amavano fare le generazioni precedenti, quelle che qualcuno ha definito generazioni della chirurgia estetica al silicone e delle supercar. Ma il nostro approccio alla tecnologia si manifesta anche sul fronte interno.

Come?

Vontobel AM controlla una boutique finanziaria quantitativa che si chiama Vescore, con cui  stiamo lavorando sull’intelligenza artificiale e su come può contribuire al lavoro dei gestori nella valutazione e selezione dei titoli.

L’intervista è stata è pubblicata sul numero di settembre nel mensile Asset Class

 

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!