ALTRE ADVISORY – Detto in parole povere i commercialisti italiani sembrano intenzionati seriamente a esplorare il business delle consulenza finanziaria, allargando il raggio di azione della loro attività, tradizionalmente ancorata ad altri tipi di advisory (fiscale, tributaria, fallimentare o societaria). Del resto nessuna norma glielo impedisce. Per legge infatti la figura del commercialista è incompatibile soltanto con quella del consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede (l’ex-promotore). Non esiste invece alcuna incompatibilità con la figura del consulente autonomo (o fee-only), ovvero con quel professionista che svolge attività di financial adivisor e viene remunerato esclusivamente con le parcelle pagate dai clienti, senza alcun legame economico con chi fabbrica i prodotti finanziari, cioè con le case di gestione.
PERMESSO DI LEGGE – A confermarlo è stato anche Lorenzo Sirch, candidato con la Lista Siani durante le elezioni per il rinnovo dell’Ordine e oggi delegato alle materie finanziarie come componente del Consiglio nazionale dei commercialisti e degli esperti contabili. Intervistato da Bluerating.com nei mesi scorsi (si veda il numero di aprile del nostro mensile, n.d.r.), Sirch ha ricordato che nella la stessa legge costitutiva Consiglio nazionale dei commercialisti (cioè il decreto legislativo n. 139 del 2005), c’è scritto a chiare lettere che i commercialisti possono “svolgere un’attività di studio e analisi finanziaria” che costituisce, implicitamente o esplicitamente, una forma di consulenza di investimento per i clienti.